COMITATO DISTRETTUALE CULTURA E ATTIVITA' ARTISTICHE
Lo scrittore Italiano germanista e Senatore Italiano Claudio Magris
Lo scrittore Claudio Magris fu un germanista e senatore italiano per la XII legislatura che nacque a Trieste il 10 aprile 1939 . Così diceva di Lui Pistorius , il nostro maestro di grammatica, accompagnando con gesti rotondi e pacati le citazioni latine in quella stanza tappezzata di un rosso che la sera s'incupiva e si spegneva, brace dell'infanzia che ardeva nel buio – non è una proposizione o un'asserzione, ma un'interiezione, un'interpunzione, una congiunzione, tutt'al più un avverbio. »
(Claudio Magris, Alla cieca (2005))
Ha insegnato letteratura tedesca prima presso l'Università di Torino, poi presso quella di Trieste. Impostosi giovanissimo all'attenzione della critica con Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna (1963, elaborazione della tesi di laurea discussa all'Università di Torino con Leonello Vincenti), è stato fra i primi a rivalutare il filone letterario di matrice ebraica all'interno della letteratura mitteleuropea e non differente da una prospettiva metalinguistica unitamente al grande Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale (1971). Nel 1984 gli viene conferito il premio San Giusto d'Oro dai cronisti del Friuli Venezia Giulia.
Danubio (1986), forse il suo capolavoro, lo consacra come uno dei massimi scrittori italiani contemporanei. Con questo libro vince il Premio Bagutta nel 1986 e successivamente il Premio Strega nel 1997 con le storie e i ritratti di Microcosmi e il Premio Principe delle Asturie nel 2004 nella sezione Letteratura e nel 1999 gli vengono assegnati il Premio Chiara alla carriera e il Premio letterario Giuseppe Acerbi. Con un premio speciale per la saggistica, nel 2007 vince il Premio Mediterraneo per stranieri con À l'Aveugle. Nel 2005 a Santa Margherita di Belice (AG), città che fu il luogo di infanzia dell'autore del Gattopardo, gli è stato riconosciuto il Premio letterario internazionale Giuseppe Tomasi di Lampedusa per l'opera" Alla cieca"
Magris veniva dato come favorito dall'agenzia di scommesse inglese Ladbrokes per la vincita del Premio Nobel per la letteratura 2007 , assegnato poi alla scrittrice inglese Doris Lessing. Il 18 ottobre 2009 Claudio Magris viene premiato a Francoforte con il premio per la pace «Friedenspreis des deutschen Buchhandels». Nel 2014 ha vinto il Premio Letterario FIL in Lingue Romanze alla Fiera Internacional del Libro di Guadalajara (Messico). A nome della giuria (formata da sette critici letterari e scrittori tra cui gli italiani Carlo Ossola e Ernesto Ferrero) Patricia Martinez ha affermato che in Magris "si concilia la sua esperienza personale con la memoria collettiva della storia e delle culture che compongono lo spazio dell'Europa centrale come luogo di dialogo tra le culture del Danubio e del Mediterraneo. Uomo di centro-sinistra, di fede repubblicana, è stato senatore dal 1994 al 1996 eletto nel collegio di Trieste con una lista indipendente sostenuta dalle coalizioni del Patto per l'Italia e dei Progressisti. Nel 1992 è divenuto cittadino onorario di Montereale Valcellina (PN) e nel 2006 di Monfalcone.Nel 1960 ha sposato la scrittrice Marisa Madieri (1938-1996), che gli ha dato due figli, Francesco e Paolo. Dopo essere rimasto vedovo si è risposato con la scrittrice triestina Jole Zanetti. Attualmente è collaboratore del Corriere della Sera. Nel 2010 ha pubblicato con Stefano Levi della Torre Democrazia, legge e coscienza (Codice edizioni). Nel 2011 esce per Garzanti Livelli di guardia. note civili (2006-2011); nel 2015 pubblica La letteratura è la mia vendetta insieme con Mario Vargas Llosa per Mondadori e Non luogo a procedere per Garzanti. Con Non luogo a procedere vince la classifica di qualità de «la Lettura» e viene eletto autore dell'anno 2015.
Nel 2016 a Praga ha ricevuto il Premio Kafka dalla commissione designata dalla Franz Kafka Society, dedicato agli autori tradotti in ceco che si distinguono per "alti meriti letterari" e per "capacità di coinvolgere il lettore " in più recenti Istantanee "(La Nave di Teseo, 2016).
È fra i più importanti scrittori internazionali, da anni tra i favoriti al più ambito riconoscimento letterario,, Il Premio NOBEL .
Lo scrittore ha avuto numerosi premi e riconoscimenti, come se li meritava.
Dei suoi numerosi scritti ne ho letto uno solo e mi è molto piaciuto; sono tutti nelle librerie.
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
Lo scrittore, pure dialettale, Antonio Guerra
Antonio Guerra, detto Tonino (Santarcangelo di Romagna, 16 marzo 1920 – Santarcangelo di Romagna, 21 marzo 2012), è stato un poeta, scrittore e sceneggiatore italiano. Maestro elementare, fu inizialmente appassionato di pittura. Dipingeva ad acquerello ed a inchiostro. Nel 1944, durante la seconda guerra mondiale, venne deportato in Germania e rinchiuso in un ampo d'internamento a Troisdorf.« Mi ritrovai con alcuni romagnoli che ogni sera mi chiedevano di recitare qualcosa nel nostro dialetto. Allora scrissi per loro tutta una serie di poesie in romagnolo. »Guerra, che conosceva a memoria i Sonetti romagnoli di Olindo Guerrini, li recitò ai compagni di prigionia per distrarli dall'angoscia e dalla nostalgia di casa. Poi iniziò ad inventare nuove poesie, che un amico copiava per lui a mano. Dopo la Liberazione, si laureò in Pedagogia presso l'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo", con una tesi orale sulla poesia dialettale. Conservate le poesie composte nel campo di prigionia, le fece leggere a Carlo Bo, che ne rimase piacevolmente colpito. Decise dunque di pubblicarle, a sue spese. La raccolta s'intitola I scarabocc (Gli scarabocchi); Bo ne firmò la prefazione. Attorno a lui si formò a Santarcangelo un gruppo spontaneo di giovani poeti, di cui facevano parte anche Raffaello Baldini, Nino Pedretti e Gianni Fucci. Il gruppo si riuniva al "Caffè Trieste", il bar gestito dai genitori di Raffaello Baldini. Alcuni concittadini chiamarono ironicamente questo sodalizio E' circal de' giudéizi. Al 1952 risale l'esordio narrativo con un breve romanzo, La storia di Fortunato. Nel 1953 Tonino Guerra si trasferì a Roma, dove avvierà una fortunata carriera di sceneggiatore. Durante la sua lunga attività collaborò con alcuni fra i più importanti registi italiani del tempo (Federico Fellini, Michelangelo Antonioni, Francesco Rosi, i fratelli Taviani, ecc.). Dalla collaborazione con il regista ferrarese Antonioni, gli giunse anche la candidatura al premio Oscar nel 1967, per il film Blow-Up. Negli anni ottanta tornò in Romagna. Nel 1989 si stabilì a Pennabilli, centro del Montefeltro romagnolo, che gli conferì la cittadinanza onoraria, in riconoscenza dell'amore dimostrato nei confronti di questo territorio. Dice"« Piano piano ti prende quella lentezza di gesti quasi da uomo primitivo e siedi su lunghe e semplici panchine artigianali e ti pieghi a toccare l' erba magari per accarezzare una margherita." Qui dette vita a numerose installazioni artistiche, mostre permanenti che prendono il nome de I Luoghi dell'anima tra cui: L'Orto dei frutti dimenticati, Il Rifugio delle Madonne abbandonate, La Strada delle meridiane, Il Santuario dei pensieri, L'Angelo coi baffi e Il Giardino pietrificato (quest'ultimo è stato materialmente realizzato dallo scultore Giovanni Urbinati). Una sua installazione artistica, L'albero della memoria, è presente anche a Forlì, presso i Giardini Orselli. Guerra riprese anche il suo iniziale amore per la pittura. Una delle sue opere è esposta nella frazione Ca' Gallo del comune di Montecalvo in Foglia (PU).Guerra divenne famoso presso il grande pubblico nel 2001, come testimonial della catena di negozi di elettronica UniEuro, creando il tormentone dell'ottimismo ("Gianni, l'ottimismo è il profumo della vita!"), ripreso tra gli altri dal suo compaesano, e pronipote, Fabio De Luigi in un suo personaggio comico, l'Ingegner Cane. Nel 2006 apparve nel documentario Mattotti di Renato Chiocca, leggendo un estratto dalla sua raccolta di racconti Cenere. Nel 2010, in occasione dei suoi 90 anni, ricevette il David di Donatello alla carriera. Il 10 novembre 2010 fu insignito dall'Università di Bologna del Sigillum Magnum. È padre del noto compositore di musiche per film e sceneggiati Andrea Guerra. Morì all'età di 92 anni a Santarcangelo il 21 marzo 2012, in coincidenza con la celebrazione della Giornata Mondiale della Poesia istituita dall'Unesco. Le sue ceneri sono state incastonate nella roccia, al di sopra della sua Casa dei mandorli a Pennabilli, nel punto in cui si ammira la vallata, paese in cui ha abitato negli ultimi 25 anni e di cui ha detto "è il posto dove trovi te stesso!". Tonino Guerra era ateo .
Onorificenze, premi e riconoscimenti
Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
«Di iniziativa del Presidente della Repubblica»
— Roma, 24 ottobre 2002[7]
Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana - nastrino per uniforme ordinaria Grande ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana
— 2 giugno 1995[8]
David di Donatello per la migliore sceneggiatura
1981: Tre fratelli di Francesco Rosi
1984: E la nave va di Federico Fellini
1985: Kaos dei fratelli Taviani
David di Donatello alla carriera 2010
Premio Nonino
Premio Pasolini
Premio Letterario "Val di Comino"
Amici Lions non vi cito le Sue onorificenze che sono tantissime e meritate
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
Lo scrittore e grande viaggiatore Mario Biondi
Mario Biondi (Milano, 17 maggio 1939) è uno scrittore, poeta, critico letterario, reporter di viaggio, giornalista e traduttore italiano. Essenzialmente un narratore, la sua notorietà è dovuta soprattutto al romanzo Gli occhi di una donna, che gli è valso l'assegnazione del Premio Campiello 1985. Nato a Milano da Spero Latino, tour operator, e Anita Orsenigo Marzorati, è vissuto lungamente a Como, zona di origine di tre dei suoi nonni . Completati gli studi al Liceo Classico A. Volta di Como si è laureato in Economia Politica presso l'Università Bocconi di Milano con una tesi su «Rapporti tra incivilimento e progresso economico» , quindi ha lavorato cinque anni nell'industria (Burroughs, Nestlé) e poi per sedici anni nell'editoria (Einaudi, Sansoni, Longanesi), dirigendo l'ufficio stampa. In aggiunta si è sempre occupato attivamente di narrativa angloamericana di cui è anche traduttore e recensore per diversi quotidiani, settimanali e mensili come l'Unità, Corriere della Sera, Il Giornale (allora diretto da Indro Montanelli), Europeo e altri. Scrittore professionista dagli anni ottanta, pubblicista dai Settanta, ha collaborato con pezzi di varia umanità a varie riviste e ora vive a Milano. Nel 1968 ha pubblicato le prime poesie, cui ne hanno fatto seguito molte altre in varie pubblicazioni letterarie o antologie. A partire dal 1975 ha pubblicato quindici romanzi e nel 2006 ha sottoposto a revisione e riscrittura e ripubblicato presso TEA i romanzi Il destino di un uomo e Due bellissime signore, unificati in un solo romanzo intitolato Destino. Nel 2015, dopo aver riproposto in formato ebook alcuni testi tornati di sua proprietà letteraria, ha proposto direttamente in formato Kindle di Amazon il romanzo Rosa d'Oriente, cui nel 2016 ha fatto seguito nello stesso formato il romanzo Il segreto dell'azteco. Ha tradotto settantuno opere di autori soprattutto americani e inglesi. Nella primissima gioventù ha anche vestito la maglia azzurra delle nazionali junior e universitaria di atletica leggera, venendo inserito nella squadra dei "Probabili Olimpici 1960" per le Olimpiadi di Roma, cui per altro non è arrivato a partecipare a causa di un infortunio e si è guadagnato il Premio del CONI per la narrativa. Il nostro seppe creare pure un tipo diverso di scrittura : vedi ad esempio che il Lupo bambino è diverso da altri consimili così come è diverso pure gli occhi di una donna …….. Con quest'ultimo, 1985 Biondi aveva vinto il Supercampiello e……..trovato il successo con il «romanzo di famiglia», dopo aver assaggiato «romanzo di formazione», il «romanzo civile» e il «romanzo storico»pensate forse che si sarebbe fermato ? Neppure per sogno… Con La civetta sul comò Biondi affronta un altro filone… Il thriller. Biondi aveva sempre affermato di voler affrontare il maggior numero possibile di generi narrativi, aggiungendone altri a quelli indicati . Inevitabilmente infine è autobiografica la "narrazione di viaggio" (Parti con un sorriso e Strada bianca per i Monti del Cielo e con il Buddha di Alessandro Magno), ma sempre in una struttura altamente affabulatoria nel suo stile di narrare . Ora, cari amici Lions vorrei farVi porre l’attenzione su quanto con i suoi interminabile viaggi ha fatto per la mia e Vostra cultura socio geografica. Vagabondò per 35 anni da New York all’Iran per l’Algeria Albania, Siria, Giordania, Turchia, Egitto. Nel 2004 si rende conto di aver inconsapevolmente percorso gran parte della Via della Seta, quindi completa l'itinerario percorrendo Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan, raggiungendo la Cina a Kashgar oltre i Tien Shan (Monti del Cielo) e attraversando il Deserto di Taklamakan fino a Turpan (grotte dei mille Buddha di Bezeklik). Ne nasce: Strada bianca per i Monti del Cielo. Vagabondò sulla" Via della Seta" e, spostandosi in cina ci fece noto Il gigantesco Buddha (26 m) di Bingling-Si, sul Fiume Giallo, Gansu, Cina. Nel 2004 si rende conto di aver inconsapevolmente percorso gran parte della Via della Seta, quindi completa l'itinerario percorrendo Turkmenistan, Uzbekistan e Kirghizistan, raggiungendo la Cina a Kashgar oltre i Tien Shan (Monti del Cielo) e attraversando il Deserto di Taklamakan fino a Turpan (grotte dei mille Buddha di Bezeklik). Ne nasce: Strada bianca per i Monti del Cielo. Nel 2007 Biondi ha poi completato con scrupolo filologico la Via della Seta arrivando fino all'estremità orientale rappresentata dalle antiche capitali cinesi Xi'an e Luoyang e spingendosi da lì a Pechino, Shanghai e Lhasa (con la famosa Ferrovia del Qingzang da Xining, Qinghai), ma soprattutto percorrendo, oltre allo Xizang (Tibet) larghi tratti delle altre Regioni Autonome Tibetane in Gansu (Complessi monasteriali Gelugpa (Berretti gialli) di Labrang-Si e Langmu-Si, Grotte di Bingling-Si sul Fiume Giallo), Qinghai (Complesso monasteriale Gelugpa di Kumbum, luogo natale di Tsongkhapa, monasteri di Tongren-Rebkong etc.) e Sichuan (Grande Buddha di Leshan e Monte Emei). Dall'ellenismo sull'Indo ai misteri del Tibet, lunga e appassionato itinerario sulle vie dell'arte del Gandhāra, ovvero del sincretismo tra la parola del Buddha e la cultura ellenistica portata da Alessandro fino all'Indo. Un sincretismo che ha spinto i suoi influssi fino all'estremo Oriente.
Non Vi dico altro cari amici Lions, perché di certo sono già uscito dal campo della cultura narrativa normale mentre a nome mio e di tutti voi ringrazio questo grande scrittore e viaggiatore che con i suoi film documentari ci ha permesso di conoscere quanto ignoravamo .
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
Lettera di spiegazione ai soci del distretto 108IB1
Miei cari amici Lions, consoci della maggiore organizzazione internazionale, vale a dire quella Lionistica, poiché il compito assegnatomi era quello di parlarVi in genere di cultura mi attendevo con ansia che il Nobel 2018 venisse consegnato a qualche papabile per poi narrarVi di Lui e del premio più importante di letteratura, sperando che potesse andare ad un nostro connazionale. Così non è stato che anzi il governo svedese si è accorto di qualche furbizia utilizzata per una vittoria non idonea con la letteratura ed ha deciso che per quest’anno non verrà assegnato alcun premio NOBEL per la letteratura mentre l’anno venturo verranno concessi per essa sia il NOBEL 2018 che quello 2019.
Niente altro che porgerVi cordiali e lionistici saluti
LIONS DO DOMENICO BIANCHI
Lo scrittore dialettale bolognese del 1800/1900 apprezzato anche ora
Alfredo Testoni scriveva principalmente in dialetto bolognese. È ritenuto l'autore più prolifico e più rappresentato del teatro petroniano con le sue decine di commedie. Già nel 1886 pubblicò una raccolta in due volumi delle sue opere dialettali, intitolata Teater bulgneis ("teatro bolognese"). Tra le sue commedie, ricordiamo Al tròp è tròp ("Il troppo è troppo") del 1878, Insteriari ("Stregonerie") del 1881, Pisuneint ("Inquilini") del 1883, Acqua e ciaccher ("Acqua e chiacchiere") del 1899, El noster prossum ("il nostro prossimo") del 1910, Quand a j era i franzis ("quando c'erano i francesi") del 1926, El fnester davanti ("le finestre davanti") del 1927. Testoni fu anche un apprezzato poeta dialettale, famoso per i suoi umoristici "Sonetti della Sgnera Cattareina ("la signora Caterina")." Ma la sua opera più importante, Il cardinale Lambertini, venne scritta in lingua italiana. Il ricordo di Bologna La sua città l'ha ricordato intitolandogli la via in cui abitò fino alla morte e un teatro. Le sue commedie dialettali vengono rappresentate ancora oggi, e sono nel repertorio di tutte le compagnie teatrali petroniane. Ogni anno la Compagnia Teatroaperto mette in scena Il cardinale Lambertini presso il Teatro Dehon, gestito dalla compagnia stessa. Lo stesso Testoni scrisse negli ultimi anni della sua vita una serie di volumetti che andarono a costituire infine un libro unico, in memoria della città di quando era giovane, Ottocento bolognese, facendovi confluire una vera e propria rievocazione nostalgica della Bologna del secondo Ottocento, assieme a numerosi aneddoti che videro protagonisti i personaggi di maggiore rilievo attivi in quel periodo nella città felsinea .
Cari amici di Bologna o di quelle parti d’Italia in cui si parla ancora il bolognese ; Vi sarei grato se mi faceste pervenire qualche sonetto comico di questo vostro beniamino così che io possa paragonarlo ad alcuni sonetti del nostro grande Carlo Porta e poi visionarli insieme.
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
Un pazzo che dal manicomio inglese aiuta la cultura
Cari amici Lions : "L'assassino più colto del mondo" è un saggio di Simon Winchester del 1998. Il libro parla della nascita dell'idea di un dizionario per la lingua britannico, e dello sviluppo nel corso di vari decenni di quell'opera editoriale che attualmente si chiama Oxford English della Philological Society di Londra, e del suo più famoso collaboratore, William Chester Minor. Nel 1915 il giornalista Hayden Church, sulla rivista Strand, narra la storia dell'incontro fra Murray e Minor. Il primo giunge alla dimora del secondo tramite un viaggio breve ma impegnativo. Scortato dai domestici nella sala principale della casa, davanti ad un uomo dietro una scrivania, Murray saluta in lui W.C. Minor, uno dei più importanti collaboratori degli ultimi vent'anni in cui Murray aveva lavorato all'Oxford English Dictionary. Murray lo ringrazia vivamente, ma l'uomo si alza e si scusa: non è Minor, bensì il direttore del manicomio criminale in cui Minor dimora da oltre vent'anni. "La storia raccontata da Church è del tutto inesatta, come si è scoperto dalla corrispondenza di Murray, ma all'epoca fece molto scalpore per la sua vena "romanzesca". W.C. Minor è stato veramente rinchiuso per parecchi decenni in un manicomio criminale, ma l'incontro con Murray è avvenuto molto prima di quel che Church racconta. Murray sapeva benissimo di collaborare con una persona che in gioventù aveva commesso un omicidio spinto dalla schizofrenia che lo assillerà per tutta la vita, ma Minor era anche una persona di ottima compagnia e di straordinaria cultura. Egli collaborò per più di vent'anni alla stesura del dizionario che Murray stava dirigendo, fornendo centinaia di parole e migliaia di citazioni tratte da quei libri che erano il suo unico conforto nella cella del manicomio. Era laureato in medicina e aveva fatto il militare quando scoppiò in lui la schizzofrenia. Era la medesima persona a cui si sottoposero, nell'arco di più di 70 anni, centinaia di volontari fra l'Inghilterra e gli Stati Uniti. Il loro compito, ideato da Murray stesso, era semplicemente di leggere libri, segnando le parole degne di nota che man mano incontravano, insieme all'anno della prima apparizione e alla citazione che meglio rappresentasse la parola stessa. Questa è la procedura da cui nasce il primo dizionario completo della lingua inglese. Ci sono dei precedenti dizionari, è vero, ma sono più raccolte di parole dettate dal gusto degli autori, mentre l'OED (sigla con cui gli inglesi identificano il dizionario) è un archivio fedele del lessico inglese. Il saggio di Winchester si divide nel raccontare la storia del dizionario e quella dei suoi creatori (o collaboratori, nel caso di Minor), per poi focalizzarsi completamente, nell'ultima parte, sulla persona di Minor. Fu Winston Churchill che lo liberò dall’obbligò di rimanere sempre rinchiuso in manicomio ma, alla sua liberazione, si fece promettere che non avrebbe più messo piede in Inghilterra.
Cari amici Lions vi domanderete perchè vi ho raccontato questo fatto, letto su un quotidiano ed eccoVi la mia risposta. Vi sono al momdo tantissimi uomini colti di cui ignoriamo l’esistenza prima che il loro cervello sdoppiato dalla natura maligna faccia comprendere ai loro simili la loro inesplosa malattia. Nel contempo, pur rinchiusi in un manicomio senza opportunità di lettura, aiutano la cultura dei loro simili.
Lo scrittore noto per i suoi romanzi per ragazzi Giuseppe Fanciulli
Giuseppe Fanciulli, noto anche con lo pseudonimo di Mastro Sapone nacque a Firenze, l’8 marzo 1881 e morì a Castelveccana, il 18 agosto 1951 , E’ stato un pedagogista e scrittore italiano, autore di libri per l'infanzia. A sette anni, alla morte della madre, fu accolto nella casa delle zie materne. A Firenze compì gli studi fino alla laurea ed al perfezionamento in filosofia presso l'Istituto di studi superiori, ma si indirizzò presto alla psicologia ed alla giurisprudenza, in cui si addottorò brillantemente ad Urbino. Degli studi di psicologia, nella quale conseguì per primo in Italia la libera docenza che esercitò nelle università di Firenze e Milano, ci restano diversi documenti: L'individuo nei suoi rapporti sociali (Torino 1905), L'umorismo (Firenze , La vita affettiva dei bambini (ibid. 1914), Il fascino dell'infanzia (Torino 1926), I nostri ragazzi (Milano 1937). In queste opere concentrò i suoi interessi sulla vita affettiva infantile e diede particolare rilievo alla pratica pedagogica e didattica. Ad avviarlo alla letteratura per l'infanzia fu decisiva la conoscenza di L. Bertelli (Vamba), il celebre direttore del Giornalino della Domenica. Nel 1906, pur non cessando di collaborare a riviste come Psiche e La Cultura filosofica, entrò nella redazione del Giornalino con lo pseudonimo di Maestro Sapone, accanto a personalità quali F. Scarpelli, A. Romualdi (Fra Bombarda), e altri Nel contempo iniziava una intensa attività pubblicistica: nel 1908 era corrispondente della Tribuna di Roma e redattore del Campione di Firenze, del Secolo XX e della Lettura di Milano fino al 1912, anno in cui iniziò la collaborazione a Il Corriere dei piccoli, che terminerà nel 1918. Quando Vamba (pseudonimo di Luigi Bertelli) fondò nel 1906 il Giornalino della domenica, Fanciulli ne fu redattore (talvolta sotto lo pseudonimo di Mastro Sapone), fino a quando le pubblicazioni furono sospese nel 1911. Collaborò di nuovo al Giornalino quando rinacque nel 1918. A partire dalla morte di Vamba (1920) ne divenne direttore fino al 1924. Nel 1940 scrisse per la S.E.I. editore "L'Eroica vita di Italo Balbo" narrata ai giovani. Nel 1941 scrisse una biografia di Don Bosco. Nel 1909 pubblicò in volume i quadretti di vita infantile e per i più piccini (Firenze), seguiti dalle mirabolanti avventure di Pippo Sizza aviatore (ibid. 1910) scritte con lo pseudonimo di Pino. Nel 1912, edito sempre a Firenze, pubblicò il primo grande successo di pubblico con L'omino turchino. Il libro racconta le azioni a fin di bene di un omino che, disegnato e ritagliato da una bimba, è portato via dal vento in giro per il mondo. Se il piglio della narrazione ricorda, a tratti, il Collodi per l'accento realistico della fantasia e la briosa rapidità (Cibaldi), alcuni temi rivelano però l'influenza del gruppo del Giornalino. Non è, infatti, solo l'idea del pupazzo in viaggio nel mondo di personaggi-insetti ad avvicinare il F. al Vamba di Ciondolino ed al Barzini di Fiammiferino: più ancora, il tentativo di divulgazione scientifica in forma di fiaba, la fantasiosa umanizzazione della natura (Petrini), il fine senso dell'umorismo unito a spunti di satira sociale rivolta più agli adulti che ai ragazzi (Robuschi Romagnoli). Tutto all'insegna di una pedagogia volta alla formazione di un'etica nazionale e fondata su un patriottismo che condurrà il F. su posizioni interventiste (La volontà d'Italia, Firenze 1915). La tragedia del conflitto mondiale, in cui morì l'amico fraterno G. Borsi, gli procurò un'acuta crisi religiosa. Ed è con Creature (Torino 1918), dedicato allo scomparso, che si inaugura un nuovo corso. Questi "quadri di vita per la gioventù", in quanto commossa contemplazione della natura, sono un'implicita risposta alla contemporanea esaltazione attivistica lasciata in eredità dalla guerra. Seguivano due volumi di novelle, ricche di spunti autobiografici, inni alla vita semplice e buona, che avevano come sfondo la Toscana del tempo di guerra: Gente nostra (Torino 1918) e Alla sorgente (ibid. 1918). Qui, il generico filantropismo delle opere precedenti trovava finalmente una giustificazione nella fede e nella pratica cristiana: non era più l'avventura in sé e per sé ad interessare il F., ma il modo di viverla dei personaggi e l'ideale che la determinava (Robuschi Romagnoli). Frattanto gli impegni giornalistici si moltiplicavano. Dal 1916 fu redattore del Guerin Meschino (fino al 1921) e del quotidiano La Perseveranza di Milano (fino al 1920), mentre collaborava a Mondo e Gli Avvenimenti. Nel 1918 era di nuovo nel rinato Giornalino che, con la morte di Vamba, dirigerà dal '20 al '24. Nel 1919 fondò a Milano il Teatro per ragazzi, poi itinerante, di cui fu direttore fino al 1923. Da questa esperienza nacquero, tra l'altro, Il teatro di Takiù (Milano 1923), il burattino giapponese col cappello verde e la giubba disegnata a pappagalli, le fiabe sceniche Il sole di Occhiverdi (ibid. 1926) e Zufrin (ibid. 1932) e le commedie per bambini La testa di Spinacino (Torino 1930). Si tratta di testi nei quali il F., senza rinunciare alla vivacità scenica ed alla comicità delle situazioni, finalizza ogni evento all'esemplificazione di un monito morale. La nuova attività teatrale non escludeva quella narrativa. Pubblicò S. Francesco d'Assisi (Torino 1926), prima opera di un edificante ciclo di biografie romanzate: S. Luigi Gonzaga (ibid. 1926), Virgilio (Milano 1927), Glorie d'Italia (Torino 1929), Dante (Milano 1930), S. Giovanni Bosco (Torino 1934), Santi d'Italia (Brescia 1935), Gesù Bambino (ibid. 1936), Il dato narrativo era, però, sempre piegato ad una prioritaria e spesso soverchiante esigenza pedagogica e religiosa. Non è un caso, infatti, che la maggior parte dei ritratti sia dedicata ai "campioni della fede", secondo un'angusta concezione della storia come attuazione di un disegno della provvidenza, la cui molla è l'amore. Nel 1927 il F. dava alle stampe Fiore (Firenze), vincitore del concorso Bemporad, primo dei "romanzi di vita". Il libro racconta due anni di vita di un ragazzo rimasto orfano e accolto in casa dello zio paterno, rude sterratore, il quale aveva chiuso da tempo ogni rapporto con il fratello. Fiore, anima sensibile, ricevuto per pietà, dopo un periodo di incomprensioni e difficoltà riuscirà a far ritrovare allo zio la fede e alla piccola cugina paralizzata, per la violenta emozione, l'uso delle gambe. Nel 1931 il F. tornò a ricoprire incarichi di prestigio: fu redattore de L'Illustrazione italiana di Milano (fino al 1932) e direttore della Gazzetta del popolo di Torino (fino al '35). Nel contempo, ed ininterrottamente fino al 1943, collaborò a numerose testate, tra le quali: Ambrosiano, Sette giorni, La Scena illustrata (Firenze), L'Avvenire d'Italia (Bologna), IlGazzettino (Venezia), IlGiornale di Trieste. Nel 1932 ottenne il premio Viareggio con Lisa-Betta (Torino), presentata con molti elogi da Massimo Bontempelli. Questo secondo "romanzo di vita" narra la storia edificante di una bambina di nove anni dalla duplice personalità: ora più Lisa, ora più Betta, secondo che prevalga in lei il raziocinio o l'istinto, il sentimento o la fantasia. Come Fiore, anche Lisa-Betta ha una sua missione di conciliazione familiare che si compirà nel lieto finale con la riappacificazione tra il babbo e la zia Daria, superando antichi dissidi e malintesi. La trama, quanto mai tenue per accadimenti, è tutta giocata sulla ricostruzione del piccolo mondo del paese visto dagli occhi incantati e poco credibili di una bimba tutta bontà e religiosità all'insegna di una insistita esaltazione dei valori domestici e familiari. Nel 1934, sull'onda del successo, pubblicò Alza bandiera (Firenze, poi con il titolo mutato Il gran gioco), racconto di una guerra tra ragazzi, ispirato al capolavoro di F. Molnár I ragazzi della via Pal. Del 1936 è Tra le lance dei Galla (Torino), storia di un giovane indigeno al seguito del cardinale Massaia, a metà tra il racconto di pura fantasia e quello a carattere strettamente didattico. Ad esso seguirono Il bosco incantato (Firenze 1941), Lisa-Betta al mare (Torino 1943), Un raggio di sole (ibid. 1946). Dal 1946 fino al 1948 fu direttore del Corriere dei ragazzi. In questo stesso anno il F. ebbe una vigorosa ripresa narrativa: oltre alle Nuove avventure dell'omino turchino (Firenze), dava alle stampe a Torino i racconti fiabeschi di L'isola degli uccelli, Le onde senza corona, Il gatto nero, Verdespina. Si tratta di fiabe che raccontano le metamorfosi di "bimbi cattivi" attraverso il dolore ed il pentimento. Scritte in una lingua semplice e persuasiva per gli adolescenti, costituiscono l'ultima testimonianza di uno scrittore programmaticamente e tenacemente volto a realizzare una missione morale e religiosa tra i fanciulli.Nel 1950 il F. si ammalò gravemente a Firenze e si trasferì, in convalescenza, a Castelveccana (Varese) sul lago Maggiore, ove morì il 16 ag. 1951.
Cari amici Lions, nella mia fanciullezza ho letto parecchi libri di questo autore, attratto come sovente lo fanno i bimbi, dal risultato sempre positivo dei suoi scritti. Ne ho parecchi nella mia libreria infantile perchè all’inizio delle vacanze il Padre rettore spiegava ai genitori quali fossero i libri che i loro figliuoli era bene che leggessero per non dimenticare quanto da essi avevano imparato a scrivere.
Se potete, date ai vostri nipotini qualcuno di questi libri ed essi saranno contenti !!
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
Lo scrittore portoghese Lobo Autunes
Lo scrittore di cui vi voglio parlare, cari amici Lions, è stato candidato per il Nobel per la letteratura ed insieme a Josè Saramago è considerato uno uno dei più importanti autori della letteratura portoghese contemporanea . Alcuni critici lo indicano come il più grande scrittore portoghese vivente. Lobo Antunes è laureato in medicina, con specializzazione in psichiatria e venne mandato in Angola dal 1970 al 1973 durante la fase finale della guerra coloniale portoghese, tema affrontato in vari libri. Una volta tornato in Portogallo, ha lavorato nell'ospedale psichiatrico Miguel Bombarda di Lisbona ed è stato militante dell'APU (coalizione capeggiata dal Partito Comunista Portoghese) sino al 1980. Oggi vive a Lisbona dove non esercita più la professione di medico, dedicandosi interamente alla scrittura, profondamente influenzato da William Faulkner e Louis-Ferdinand Céline. L’opera di Lobo Antunes è composta essenzialmente da romanzi, caratterizzati da intricate e complesse costruzioni narrative. Mentre nella prima fase della sua produzione letteraria il tema dominante è la guerra coloniale (a cui l'autore ha partecipato in prima persona come medico in Angola) e le sue conseguenti problematiche (perdita delle colonie, ritorno etc...), nella seconda la tematica è essenzialmente psicologica, andandosi a concentrare su storie private. Estremizzando certe tecniche e modalità narrative tipiche della letteratura modernista, come ad esempio il flusso di coscienza, Lobo Antunes ha sviluppato un particolarissimo stile narrativo, di massimo interesse. Un esempio è il frequente passaggio dalla prima alla terza persona senza marche che lo indichino. In questa maniera, la lettura, ovviamente faticosa, di un romanzo di Lobo Antunes, si trasforma in una specie di puzzle di elementi da mettere insieme, che ci fa entrare in una dimensione psicologica parallela senza una chiara linea cronologica, ma con una sua acrobatica coerenza interna. Nel 2001 è stato insignito del titolo di duca di Cocodrilos dal sovrano del Regno di Redon e da poco ha ricevuto il premio "nonino " da cui l’intervista successiva che vi riporto ed eccoVela : in essa la voce di António Lobo Antunes è arrochita, profonda, quasi baritonale. L'autore portoghese che ,come dettovi, ha da poco ricevuto il Premio Nonino ci spiega che lo scrittore è una sorta di tramite: "Il libro sceglie il proprio cammino, io mi considero solo un intermediario tra due istanze: la prima che non so qual è, e la seconda che è il lettore ". Con forza rigetta l'idea stessa di vocazione perchè "È la mano che scrive con la testa che viaggia lontano" e nega qualsiasi collegamento tra la sua letteratura e le esperienze lavorative come psichiatra: "Gli ospedali non mi diedero né mi portarono altro che non fosse orrore, sofferenza e dolore". Nei suoi libri (daI in culo al mondo a Arcipelago dell'insonnia, Feltrinelli) tuttavia, l'intero Portogallo sembra un manicomio e i ventisette mesi come medico al seguito dell'esercito portoghese in Angola, durante la guerra coloniale, hanno inciso moltissimo, tanto sulla prima produzione quanto sullo stile, da lui stesso definito come dei "larghi cerchi concentrici che si restringono e a quanto pare ci soffocano". Interrogato da un giornalista così risponde : Quando ha capito che avrebbe voluto scrivere?"All'età di sei o sette anni. Mio padre era un neurologo, professore all'università, ed io il primogenito di una famiglia che proveniva dal Brasile. Divenni psichiatra perché non volevo essere un medico. L'unico mestiere che ho mai desiderato fare nella vita è però lo scrittore. Ho sempre saputo che non sarebbe stato facile, e infatti sono trascorsi molti anni prima che trovassi la mia voce. Ho pubblicato il mio primo libro a trentasei anni, e quasi fino ad allora la mia reazione era sempre la stessa: così non va. Riscrivevo in continuazione". Come sono scandite le sue giornate?" Dedico alla scrittura mediamente dieci ore al giorno e per ogni libro impiego uno o due anni. Il processo più complesso è però la correzione, quanto cambi di ciò che hai scritto; perché un testo non è mai finito, c'è sempre un avverbio, un pronome, un articolo che non convincono. Così quando finalmente chiudo un libro provo un sentimento ambivalente: da un lato sento una specie di sollievo, dall'altro so che ho iniziato a perderlo".Soltanto la dedizione ad una passione esclusiva conferisce potenza, sostiene Stefan Zweig nella biografia su Balzac. Per resistere ore alla scrivania, Balzac si teneva sveglio bevendo moltissimo caffè; e lei?" io fumo sigarette e ciò che dice Zweig è esatto: serve una devozione assoluta se vuoi fare questo mestiere. Forse il talento non esiste, ci sono solo persone che provano e provano e provano ancora. Un giorno, ad uno che gli chiedeva come avesse potuto realizzare un certo magnifico passaggio, Bach rispose che se avesse lavorato quanto aveva fatto lui avrebbe ottenuto lo stesso risultato". Rispetto al passato, negli ultimi libri la sua narrazione tende a farsi più intricata, a frammentarsi, a sottrarre senso. È così?" Sotto molti punti di vista il mio modo di scrivere è rimasto lo stesso, solo che ora non invento troppe metafore ma faccio sì che tutto il libro diventi una grande metafora. Cerco di lavorare più vicino alla terra, più vicino a dove si trovano gli uomini, a dove sono io in mezzo a loro". Io mi ricordo. scrive Hegel , vuol dire "io penetro nel mio interno, ricordo me". Che relazione sussiste tra memoria e immaginazione? "L'immaginazione è l'unica possibilità che hai per affrontare la memoria concreta. Non facciamo altro che riadattare, riorganizzare e risistemare tutto il materiale memoriale in un ordine differente. L'immaginazione deriva da come lavoriamo questo materiale; prende forma dalla memoria. In uno studio su persone che hanno avuto un ictus, si dimostra che chi è stato privato della memoria è stato privato anche dell'immaginazione". Ci sono immagini che più di altre hanno formato il suo animo? "Non sono perseguitato da immagini ma da ossessioni. Sono loro che plasmano il mio animo. Ogni regista, o scrittore, o artista o pittore, è spinto dalle proprie ossessioni. Io poi non penso in forma logica, le cose mi appaiono già così nella testa, mi limito a seguirle; ed è male". Sta dicendo che quando scrive prova sofferenza? "Vorrei essere più consapevole dei miei sentimenti, ma la riflessione sui sentimenti è impossibile perché lavoro con materiali che vengono prima di ogni ragionamento; ho a che fare impulsi, sensazioni e altre cose che sono oscure per me. Curiosamente constato che tutto è chiaro quando lo butto giù sulla carta, anche se in astratto non lo capisco. E sì, la sofferenza è associata con la scrittura. Talvolta ho la sensazione di trovarmi dalla parte sbagliata, e visto che non so quale sia questa parte sbagliata, provo a rifare tutto il viaggio per capire dove ho commesso l'errore". L'infelicità dei suoi personaggi sembra derivare dall'interpretazione di alcuni istanti del loro passato, e dall'esserne prigionieri."Non vedo i miei personaggi come felici o infelici, nemmeno li vedo i miei personaggi. Vedo una voce che viene, che va, che torna, che attacca, che scrive il libro. Ogni libro è scritto per una voce".
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
Può essere che prenda il Nobel per la letteratura ma leggere i suoi romanzi e comprenderli sarà semre difficile.
Lo scrittore e critico italiano LUCA DONINELLI
Cari amici Lions sono lieto di presentarVi con queste mie righe uno scrittore che ha pressapoco l’età dei miei figli ma del quale sentirete parlare anche fra parecchi anni.
Luca Doninelli nacque a Leno il 31 marzo 1956 ed è uno scrittore e giornalista italiano.
Il Premio Campiello è un premio letterario italiano che viene assegnato annualmente a un'opera di narrativa italiana edita nell'anno di riferimento. Il nostro scrittore ha vissuto per lungo tempo a Desenzano del Garda; il padre Angelo era direttore dell'Ospedale di Desenzano, la madre Silvana Fei, fiorentina, è la nipote del celebre pittore Ottone Rosai. Si è trasferito poi a Milano dove si è laureato in filosofia (all'Università Cattolica del Sacro Cuore) con una tesi sul filosofo francese Michel Foucault. Dopo aver insegnato in diversi istituti superiori e universitari, ha collaborato con diverse testate giornalistiche tra cui Il Sabato, Liberal, Tempi, Il Giornale, Vita e Avvenire. Ha pubblicato diversi romanzi tra cui La revoca (che gli valse il Premio Selezione Campiello), La Mano (divenuto poi anche uno spettacolo teatrale del Teatro delle Albe, diretto da Marco Martinelli con Ermanna Montanari protagonista, musiche di Luigi Ceccarelli) e la raccolta di racconti Le decorose memorie con cui fu Supervincitore del Premio Grinzane Cavour. Dalla grande amicizia con Giovanni Testori nacque nel 1993 il libro-intervista Conversazioni con Testori. È anche autore per il teatro, per cui ha scritto Ite Missa Est, portato in scena nella stagione 2001-2002 al Piccolo Teatro di Milano con la regia di Claudio Longhi, e "Maryam", interpretato da Ermanna Montanari che ne ha firmato ideazione e regia insieme a Marco Martinelli, con debutto nella stagione 2016-2017 all'Elfo Puccini di Milano. Nel 2006 è finalista nel premio letterario Premio Bergamo. Nel 2004 era uscito il saggio Il Crollo delle Aspettative, edito da Garzanti; sono scritti insurrezionali su Milano, che apriranno una lunga stagione di dibattiti sulla città lombarda, sui suoi problemi, sul suo futuro. Nel 1986 si è sposato con Cristina Moroni, traduttrice. Dal loro matrimonio nasceranno due figli. Dice di un amico di altra religione « C’è una cosa su cui siamo completamente d'accordo. Se le nostre dottrine sono (in parte) diverse, esiste qualcosa che eccede le dottrine: le nostre persone. Non siamo due persone speciali, ma non siamo nemmeno due semplici rappresentanti di religioni diverse. E poi amicizia vuol dire perdono, è inevitabile. In tutti questi anni Naghib e io ci siamo dovuti perdonare a vicenda molte volte, spesso per sciocchezze, talora per ragioni serie: e niente matura l’idea della propria unicità come il bisogno di essere perdonati e il coraggio di perdonare. »Nel cuore di un'estate funestata dal terrorismo e dalla violenza, in un tempo in cui sospettare e aver paura dell'altro sembra diventata quasi una necessità per sopravvivere, unico nel suo genere.
Quest'anno a presentare il tema del Meeting, nel grande auditorium della fiera davanti ad alcune migliaia di persone, è stato invitato lo scrittore bresciano Luca Doninelli. Il nostro, alcuni mesi fa, ha pubblicato con Bompiani il suo ultimo romanzo «Le cose semplici» per il quale è entrato nella selezione dei finalisti del prossimo premio Campiello. Nel libro si descrive uno società allo sfacelo, dove i desideri vengono meno. Ma nelle pagine del romanzo spicca anche la figura di Chantal, che in un mondo che è imploso su se stesso ha il coraggio di credere che il desiderio di ognuno possa cambiare la storia. Dice lo scrittore :«Non avrei mai parlato di Chantal se non avessi incontrato questo nella realtà, racconta Doninelli, è bene parlare solo di ciò che si conosce». La sua non è una relazione. È più simile a un racconto, a una testimonianza. «Se ascolti Doninelli con la divisa mentale della spiegazione teorica rischi di rimanerne fuori, di non capire», commenta l'ex segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti, che negli ultimi due anni ha iniziato un dialogo molto intenso con il mondo di CL. Lo scrittore bresciano in apertura propone tre osservazioni. Il dato culturalmente più impressionante è l’incapacità dell’Europa e dell’Occidente in generale di far fronte con un giudizio lucido alle tragedie che la stanno attraversando: «Anche tra noi dobbiamo aiutarci a scoprire uno sguardo sull’uomo». L’Occidente è al collasso eppure il nostro sguardo è asfittico: «Ci chiediamo cosa ne sarà di noi, dei nostri progetti, del nostro shopping». C’è l’idea di creare un contesto perfetto scavalcando l’uomo: «L’uomo inteso come singola persona conta sempre meno». Cita Massimo Cacciari che aveva detto che il problema principale di un sindaco sono i cittadini. Come cambiare questa spirale? Con un incontro personale. «Recentemente - dice - è mancata la madre a un mio amico. Era molto colpito perché lei si chiedeva: "Quando mi troverò davanti al Signore cosa gli dirò?". Era evidente che per lei l’incontro con Dio era un incontro personale». Un incontro che si gioca nella libertà. Doninelli esemplifica, invece, i modi di dire «tu» dettati dal potere dove funzionano il ricatto e la riduzione. Dove l’esistenza dell’altro, persona o oggetto che sia, «sembra manifestarsi come un’opposizione, qualcosa di cui sono costretto mio malgrado a tener conto». Invece per lo scrittore «l’altro è un regalo che non ho scelto io, la realtà obbedisce a un progetto non fatto da me. Come il marciapiede che non obbedisce alla sedia a rotelle che devo spingere, devo accogliere io per primo il suo dislivello. Ma questa accoglienza dell’altro che ci mobilita controvoglia ci riempie invece di stupore quando qualcuno ci accoglie così, abbracciandoci come siamo.
Tu sei un bene per me è la traduzione di un abbraccio». Un'esperienza drammatica ma anche la più elementare che ci sia. «Per dire "tu" bisogna vincere qualcosa, abbattere un muro. Anche il nostro amico più caro può assumere il volto del nemico». Per Doninelli la risposta culturale che cambierà il nostro modo di vivere deve recuperare un’idea: «che un uomo vale per il fatto di essere uomo. Abbiamo impiegato millenni per costruire una forma di vita buona e buona per tutti. Potranno portarcela via ma perché questo accada dovremo averla ancora con noi non averla già buttata via». Insomma se si rinuncia a ciò che di più profondo e vero costituisce il cuore dell'uomo e si spalanca la porta al nulla, non ci sono allora più difese al ricatto della paura e della violenza. La partita è ancora aperta.
Sono d’accordo con quanto scrive l’autore e Vi invito a conoscerlo meglio
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
L’importante filosofo italiano Giulio Preti ed i suoi studi
Miei cari amici Lions, dopo averVi tanto parlato di scrittori e quindi di letteratura, desidero ringio- vanire chi ancora si ricorda di quella filosofia sovente odiata nei licei, descrivendovi la vita ed il pensiero dell’importante filosofo italiano Giulio Preti. Egli nacque a Pavia nel 1911 e, compiuti i primi studi, si iscrisse all'Università di Pavia, dove fu allievo di Adolfo Levi, Guido Villa e dell'indianista Luigi Suali; dopo essersi interessato di discipline orientalistiche, indirizzò i suoi studi alla filosofia e si laureò nel 1933, discutendo una tesi sul pensiero di Edmund Husserl. Grazie all'amicizia con Enzo Paci, nata nelle aule dell'ateneo di Pavia, Giulio Preti entrò a far parte del novero di intellettuali e studiosi che, riuniti intorno alla figura di Antonio Banfi, avrebbero poi dato vita al movimento di rinnovamento della filosofia italiana che si andava delineando nell'ambiente milanese di quegli anni.
Segnalatosi ben presto come acuto critico dell'orientamento idealistico predominante nella cultura italiana della prima metà del '900, rivolse i propri interessi, oltre che alla fenomenologia husserliana, alle più innovative correnti europee di filosofia della scienza e del linguaggio, concentrandosi particolarmente sugli sviluppi della logica matematica e sul positivismo logico.
Nel 1937 sposa Daria Menicanti dando vita a un matrimonio che terminerà nel 1954, anche se il rapporto tra i due durerà tutta la vita.
Nel corso della Seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza, fiancheggiando formazioni comuniste, ma nel 1946 decise di non ritirare la tessera del PCI. Attivo promotore di ideali democratici, partecipò, nel secondo dopoguerra, al dibattito culturale italiano contribuendo a riviste e quotidiani, soprattutto di area comunista, (Il Politecnico, Paese sera) e segnalandosi per la polemica, che lo accompagnò lungo tutta la sua attività, contro l'impostazione umanistico/retorica dei principali indirizzi (cattolico-spiritualista, idealistico crociano e post-attualistico) della cultura italiana.
Incaricato di Filosofia morale presso l'Università di Pavia nel 1950, passò nel 1954 alla Facoltà di Magistero dell'Università di Firenze, dove rimase come professore di Storia della Filosofia e di Filosofia fino alla morte. Il pensiero : Giulio Preti diede dei contributi originali a pressoché tutte le discipline filosofiche: dalla filosofia teoretica alla filosofia morale, dalla storia della filosofia all'estetica, dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della scienza.
I suoi primi saggi, accolti nella rivista banfiana "Studi Filosofici", lo videro coinvolto in una polemica sull'immanenza e la trascendenza in filosofia, oltre che nella presentazione delle principali novità filosofiche d'oltralpe. I suoi primi due volumi Fenomenologia del valore (1942) e Idealismo e positivismo (1943), in cui emerge con evidenza quell'impostazione tesa a conciliare istanze razionalistiche ed empiristiche cui rimarrà fedele per tutta la vita, sono di taglio decisamente teoretico: in essi, pur mantenendo in larga parte la terminologia e l'approccio mutuati da Husserl nel corso dei suoi studi, dimostra la propria sensibilità alle istanze di tipo positivistico ed ai problemi posti dal materialismo storico. Solo nel periodo successivo alla guerra approderà ad uno studio veramente sistematico del pensiero filosofico-analitico sviluppato in Inghilterra dalla "scuola" di Russell e Wittgenstein e sul continente dagli autori dei circoli neo-positivistici di Vienna e Berlino, in gran parte riparati in America nel corso degli anni trenta del '900: i frutti di questi suoi studi saranno accolti nel volumetto Linguaggio comune e linguaggi scientifici (1953), oltre che in alcuni articoli apparsi in riviste e ora raccolti nel primo volume dei Saggi filosofici (1976). Pur non abbandonando mai del tutto la propria originaria impostazione "continentale", da allora in poi Preti si sarebbe segnalato come uno dei filosofi italiani più in sintonia con temi e metodi della filosofia analitica anglo-americana, la cui influenza è presente nella sua opera, anche se limitata ad alcuni aspetti generali della riflessione sul rapporto tra teoresi e prassi, come risulta evidente dalla lettura di un libro, dato alle stampe nel 1957 e destinato a godere di un certo successo, Praxis ed empirismo: in questo volumetto egli presentò in maniera relativamente organica, per quanto rapidamente, alcuni temi al confine tra pensiero teoretico, filosofia morale e filosofia politica. Negli anni successivi la sua opera, rimasta in parte inedita e uscita postuma, si focalizzò su problemi concernenti temi teoretici trasversali soprattutto nei campi della gnoseologia, della filosofia della scienza, della meta morale (analisi teoretica di concetti propri della filosofia morale) e dell'estetica.
Giulio Preti fu autore anche di studi storico-filosofici e di Retorica e logica.
Queste due culture del 1968 sono a cavallo tra la ricostruzione storico-filosofica e il saggio teoretico, con il quale si intende dimostrare, prendendo le mosse dalla polemica aperta dallo scienziato e scrittore inglese Charles Percy Snow, l'inconciliabilità tra le due forme di cultura che si intrecciano nel dibattito occidentale, quella logico-scientifica e quella umanistico-letteraria, e la necessità di far prevalere la prima sulla seconda al fine di non cedere a nuove forme di oscurantismo elitario e fanatico. Preti, inoltre, affiancò costantemente alla propria attività di autore quella di curatore e traduttore soprattutto di classici del pensiero filosofico. Il suo stile, volutamente trascurato, è rapido, nervoso e semplice, in implicita polemica con il "bello scrivere" e l'ermetismo tipico delle scuole idealistiche italiane.
CRITICA : il professor Elio Franzini dice che nel pensiero di Giulio Preti si assisterebbe a un tentativo di trovare una via alternativa al rapporto fra un pensiero unitario e inglobante (di tradizione hegeliano-crociana), e uno invece dualistico, nel distinguo fra saperi umanistici e scientifici. Il rifiuto di una strenua dicotomia, secondo Preti, non deve annullare, bensì esaltare queste differenze.
Lions DO Domenico Bianchi 14 04 18
Olivier Truc giornalista e scrittore Francese
Oliver Truc nasce a Dax il 22 novembre 1964 ed è un giornalista e scrittore francese.
Dopo essere diventato giornalista si trasferisce nel 1994 a Stoccolma dove lavora come corrispondente per testate come Le Monde e Le Point. Collabora anche alla realizzazione di alcuni documentari televisivi come "Les Bâtards du Reich", (per la catena Arte), "La Dernière Plongée", (assieme a Frédéric Vassort), "Police des rennes", entrambi per l'emittente France 5. Nel 2006 pubblica L'Imposteur, biografia romanzata di un francese scampato dai Goulag. Raggiunge il grande successo con il suo secondo libro L'ultimo lappone ("Le dernier lapon") che racconta le avventure di un poliziotto sami nella Lapponia norvegese, che gli permettono di vincere il premio come Quai du polar e prix Mystère de la critique nel 2013. A questo romanzo viene dato nel 2014 un seguito con Lo stretto del lupo ("Le détroit du loup") e nel 2016 "La montagna rossa" editi in Italia dalla Marsili. Una nuova coppia di investigatori conquisterà i lettori nel primo poliziesco ambientato nella terra dei Sami
Dicono di Lui " "Uno dei cinque migliori gialli dell'anno" TELERAMA MAGAZINE"
"Questo romanzo è un regalo del cielo" LE FIGARO LITTERATURE W"
Un noir estremamente originale" LIVRES HEBDO""L'esordio di Olivier Truc è un thriller affascinante, e Truc un autore che è già un maestro nel suo genere" LIBRAIRE GARIN
1) Leggendo i tuoi romanzi, non si può restare indifferenti all’impatto fortissimo che ha l’ambientazione. La geografia della storia che vai a raccontare. Le tue descrizioni dell’ambiente hanno davvero un largo respiro ed una vividezza potente. Il fatto è che tu "nasci" giornalista, mestiere che continui a praticare. Ed il linguaggio giornalistico prevede un taglio molto asciutto, essenziale, diretto. Nei suoi libri al contrario maneggi e domini uno stile largamente descrittivo, che abbraccia luoghi, usi, costumi ed introspezione dei personaggi. Come hai scoperto queste due anime in te e come ci convivi? In verità, neppure da giornalista ho mai del tutto adottato uno stile conciso ed asciutto. Ho sempre scritto articoli e reportage abbastanza ampi come contenuti descrittivi e di contesto.
2) Dalla Francia, a Stoccolma, alla Lapponia. Lingue diverse, mentalità diverse. In quest’ottica, cosa ha motivato la scelta di spostarti a Nord lasciando la tua patria di origine? E, soprattutto, cosa hai trovato che ti ha convinto a restare? Una donna. È stato per una donna. Vivevo a Montpellier e lì ho conosciuto una donna svedese. Era il 1994 e sarei dovuto partire da li a poco per il Libano. Laggiù erano in corso dei conflitti e per un reporter era uno scenario interessantissimo da approcciare e raccontare. Invece pochi mesi dopo mi sono trasferito in Svezia, una delle nazioni più pacifiche in assoluto. Mai più avrei pensato di ritrovarmi lì, non ero mai stato particolarmente attratto dal Nord e lo conoscevo molto poco. Per cui la ragione, ebbene sì, sono le svedesi, anzi una svedese.
3) Veniamo in particolare alla cultura Sami, cosa ti ha portato a voler ambientare le tue storie in Lapponia e a scegliere i tuoi personaggi tra i suoi abitanti? In Italia, la Lapponia è massivamente collegata allo stereotipo di essere la "casa" di Babbo Natale. Attraverso i tuoi libri, al contrario, emerge e trova larga diffusione la realtà di un popolo "semplice" nello stile di vita, forte delle sue tradizioni, ma allo stesso tempo "complesso" nel folklore e nelle credenze. Cosa ti ha attratto di questa realtà e come ti sei accostato a questo popolo? Quanto di te, se c’è, è nei tuoi protagonisti, gli investigatori dell’unità della polizia delle renne Klemet Nango e Nina Nansen?
Essendo per formazione e deformazione professionale molto interessato ed attratto dai conflitti e dalle realtà contrastate, ho iniziato ad interessarmi alla Lapponia ed alla cultura Sami. Non solo in Italia, ma anche in Francia ed addirittura in Svezia, la Lapponia è presentata e percepita attraverso articoli e riviste, come la casa di "Babbo Natale". Questo mi ha incuriosito e mi ha spinto ad approfondire la materia. La realtà che ho trovato è in effetti una realtà complessa e conflittuale. Il personaggio di Aslak (uno dei protagonisti dell’Ultimo Lappone, un allevatore di renne che conduce la sua esistenza ignorando volutamente tecnologie e cambiamenti portati dalla "civiltà" e che proprio per questo suo vivere nella tradizione rifiutando le "contaminazioni", viste come aggressive ed impattanti, della modernità, è addirittura maggiormente rispettato, ndr) è frutto di mia invenzione, ma ha preso forma attraverso le parole di molti Sami con i quali ho dialogato. Ancora oggi la maggior parte di loro è in conflitto con la "modernità", la rifiuta, evidenziandone gli aspetti negativi. Ad esempio le costruzioni moderne che sono state edificate hanno "mangiato" terreni, che erano spazi eletti all’allevamento delle renne, forma di sostentamento primaria di questo popolo.
L’introduzione dell’uso delle motoslitte, molto onerose da mantenere, ha causato l’obbligo di rivolgersi alle banche per avere prestiti e la necessità di lavorare ancora più duramente per restituire i soldi. Ciò ha contributo anche a generare ulteriori conflitti interni e malcontento. Per questo lo stile di vita che conduceva Aslak è visto tuttora come migliore ed auspicabile.
4) E’ davvero particolare e rende molto la misura delle cose e le transizioni, la scansione temporale dei capitoli de L’ultimo lappone, basata sulle ore di luce nelle giornate. Ci sono molti studi e teorie generaliste basate sull’idea che la poca luce sia causa di depressioni e suicidi e favorisca gli atti criminosi. Anche se queste teorie spesso sono contestate, se non addirittura confutate dalle statistiche, non si può non tenerne conto, anche solo a livello di ipotesi. Ha influito questo pensiero nella tua idea di scrivere thriller ambientandoli appunto in Lapponia? O hai pensato che questo genere letterario, di grande presa sul pubblico, avrebbe agevolato a più ampio raggio la diffusione della cultura Sami, come in effetti è, data la popolarità ed il gradimento dei tuoi romanzi? Di fatto queste teorie sono esclusivamente la rappresentazione di un cliché. Il tasso di suicidi è decisamente più elevato in Francia, in Ungheria, in Lituania.
La luce non è un fattore determinante. Vero è che soprattutto tra i giovani il tasso di suicidi, pur non dovuto alla mancanza di luce, è di una certa rilevanza. Tanto che anche le Autorità si stanno adoperando con incontri e protocolli per affrontare e risolvere la questione. È un fenomeno in prevalenza ascrivibile alla difficoltà, alla disillusione, che riscontrano le nuove generazioni nel portare avanti mestieri e stile di vita nel rispetto della tradizione (vista come preferenza di vita) trovandosi di fronte l’inarrestabile avanzata della cultura moderna e tecnologica. Ora sto scrivendo un romanzo storico, che attinge elementi da L’ultimo lappone e da La montagna Rossa. Poi ho già in progetto di scrivere almeno altri due libri della serie di Klemet e Nina. Nel secondo di questi due affronterò proprio il tema del suicidio. Ho scritto molti articoli per "Le Monde" sulla cultura lappone, ma sentivo l’esigenza di parlarne più diffusamente, anche perché non era possibile che ogni giorno uscisse sul quotidiano un articolo sulla Lapponia. Ma piano piano il tutto è virato verso una storia gialla, perché è si un genere di più alta diffusione, ma maggiormente perché ho sentito il bisogno di far parlare i personaggi, entrare nella loro interiorità, psicologia, dinamiche, e far sì che anche il lettore potesse entrare dentro di loro. Per cui il fatto che abbia iniziato a scrivere gialli è dovuto al fatto che è stata la storia che volevo raccontare a "chiedermelo".
5) Ti sei inserito nel solco della migliore tradizione del thriller nordico, pur innovandolo nei temi e nei contenuti, a partire dal descrivere uno stile di vita molto lontano da quello attuale e dove gli effetti speciali non sono dati da cyber tecnologie ma sono quelli della natura, umana e geografica. Per converso, vorrei salutarti chiedendoti cosa pensi della tradizione gialla francese dal polar in avanti e se in qualche modo riconosci nei tuoi libri una sua influenza.
Non avevo mai letto polar e noir francesi prima di diventare scrittore ed iniziare a presenziare a manifestazioni e festival. Incontrando durante questi eventi molti autori miei connazionali ho iniziato a leggere i loro libri. Devo dire che mi piacciono molto, ma non ti farò alcun nome in particolare perché sono davvero molti e non vorrei far torto a nessuno. Posso dunque dire di non essere stato influenzato dal polar di tradizione francese perché quando ho iniziato a scrivere, non lo leggevo.
Posso dirti invece, che ad influenzare i miei libri ed a renderli "vivi" sono state tutte, tutte le persone con le quali ho parlato, che mi hanno regalato le loro esperienze , le persone che ho incontrato nella mia carriera giornalistica. E che qui colgo l’occasione per ringraziare.
Olivier Truc
Amici Lions,sono lieto di porgerVi la lettura di questa intervista fatta allo scrittore e che bene vi spiega il perché un "giallista" possa descriverVi assai bene la vita di questo popolo ancora primitivo.
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
Lo scrittore, attore conduttore televisivo Fabio Bonetti in arte Fabio Volo
Santa Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein (1891-1942) monaca, Carmelitana Scalza, martire
Cari amici Lions, in occasione della festività della Santa Pasqua che quest’anno avviene nel giorno 01 aprile, desidero soffermarmi a venerdì 30, il giorno in cui gli ebrei decisero di crocifiggere GESU’ che morì alle ore 15. Commosso invero per questo avvenimento ho recitato con tutti i miei dipendenti un “Padre nostro” che è la preghiera appresa nei Vangeli……. Mentre ora desidero segnalarvi la vita di Edith Stein copiando tale e quale quanto dice di Lei il Vaticano. Non spaventatevi per la lunghezza dell’articolo poiché, per non mettervi in difficoltà, ho pensato che vi sia sufficiente leggere tutto e solo il mio scritto in grassetto per apprendere vita e morte della Santa in parola. Ci inchiniamo profondamente di fronte alla testimonianza della vita e della morte di Edith Stein, illustre figlia di Israele e allo stesso tempo figlia del Carmelo. Suor Teresa Benedetta della Croce, una personalità che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo, una sintesi ricca di ferite profonde che ancora sanguinano; nello stesso tempo la sintesi di una verità piena al di sopra dell'uomo, in un cuore che rimase così a lungo inquieto e inappagato, "fino a quando finalmente trovò pace in Dio"", queste parole furono pronunciate dal Papa Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione di Edith Stein a Colonia, il 1° maggio del 1987. Quando il 12 ottobre 1891 Edith Stein nacque a Breslavia, quale ultima di 11 figli, la famiglia festeggiava lo Yom Kippur, la maggior festività ebraica, il giorno dell'espiazione. " Più di ogni altra cosa ciò ha contribuito a rendere particolarmente cara alla madre la sua figlia più giovane ". Proprio questa data della nascita fu per la carmelitana quasi un vaticinio.Il padre, commerciante in legname, venne a mancare quando Edith non aveva ancora compiuto il secondo anno d'età. La madre, una donna molto religiosa, solerte e volitiva, veramente un'ammirevole persona, rimasta sola dovette sia accudire alla famiglia sia condurre la grande azienda; non riuscì però a mantenere nei figli una fede vitale. Edith perse la fede in Dio. " In piena coscienza e di libera scelta smisi di pregare ". Consegui brillantemente la maturità nel 1911 ed iniziò a studiare germanistica e storia all'Università di Breslavia, più per conseguire una base di futuro sostentamento che per passione. Il suo vero interesse era invece la filosofia. S'interessava molto anche di questioni riguardanti le donne. Entrò a far parte dell'organizzazione " Associazione Prussiana per il Diritto Femminile al Voto ". Più tardi scrisse: " Quale ginnasiale e giovane studente fui una radicale femminista. Persi poi l'interesse a tutta la questione. Ora sono alla ricerca di soluzioni puramente obiettive ". Nel 1913 la studentessa Edith Stein si recò a Gottinga per frequentare le lezioni universitarie di Edmund Husserl, divenne sua discepola e assistente ed anche conseguì con lui la sua laurea. A quel tempo Edmund Husserl affascinava il pubblico con un nuovo concetto della verità: il mondo percepito esisteva non solamente in maniera kantiana della percezione soggettiva. I suoi discepoli comprendevano la sua filosofia quale svolta verso il concreto. " Ritorno all'oggettivismo ". La fenomenologia condusse, senza che lui ne avesse l'intenzione, non pochi dei suoi studenti e studentesse alla fede cristiana. A Gottinga Edith Stein incontrò anche il filosofo Max Scheler. Quest'incontro richiamò la sua attenzione sul cattolicesimo. Però non dimenticò quello studio che le doveva procurare il pane futuro. Nel gennaio del 1915 superò con lode l'esame di stato. Non iniziò però il periodo di formazione professionale. Allo scoppiare della prima guerra mondiale scrisse: " Ora non ho più una mia propria vita". Frequentò un corso d'infermiera e prestò servizio in un ospedale militare austriaco. Per lei furono tempi duri. Accudisce i degenti del reparto malati di tifo, presta servizio in sala operatoria, vede morire uomini nel fior della gioventù. Alla chiusura dell'ospedale militare, nel 1916, seguì Husserl a Friburgo nella Brisgovia, ivi conseguì nel 1917 la laurea " summa cum laude " con una tesi "Sul problema dell'empatia". A quel tempo accadde che osservò come una popolana, con la cesta della spesa, entrò nel Duomo di Francoforte e si soffermò per una breve preghiera. " Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimo colloquio. Non ho mai potuto dimenticare l'accaduto ". Nelle ultime pagine della sua tesi di laurea scrisse: " Ci sono stati degli individui che in seguito ad un'improvvisa mutazione della loro personalità hanno creduto di incontrare la misericordia divina". Come arrivò a questa asserzione? convinzione che-visto dal lato di Dio - Edith Stein era legata da rapporti di profonda amicizia con l'assistente di Husserl a Gottinga, Adolf Reinach e la sua consorte. Adolf Reinach muore in Fiandra nel novembre del 1917. Edith si reca a Gottinga. I Reinach si erano convertiti alla fede evangelica. Edith aveva una certa ritrosia rispetto all'incontro con la giovane vedova. Con molto stupore incontrò una credente. " Questo è stato il mio primo incontro con la croce e con la forza divina che trasmette ai suoi portatori ... Fu il momento in cui la mia irreligiosità crollò e Cristo rifulse ". Più tardi scriverà: " Ciò che non era nei miei piani era nei piani di Dio. In me prende vita la profonda convinzione che, vista dal lato di Dio, non esiste il caso; tutta la mia vita, fino ai minimi particolari, è già tracciata nei piani della provvidenza divina e davanti agli occhi assolutamente veggenti di Dio presenta una correlazione perfettamente compiuta". Nell'autunno del 1918 Edith Stein cessò l'attività di assistente presso Edmund Husserl. Questo poiché desiderava lavorare indipendentemente. Per la prima volta dopo la sua conversione Edith Stein visitò Husserl nel 1930. Ebbe con lui una discussione sulla sua nuova fede nella quale lo avrebbe volentieri voluto partecipe. Poi scrisse la sorprendente frase: " Dopo ogni incontro che mi fa sentire l'impossibilità di influenzare direttamente, s'acuisce in me l'impellenza di un mio proprio olocausto ". Edith Stein desiderava ottenere l'abilitazione alla libera docenza. A quel tempo ciò era cosa irraggiungibile per una donna. Husserl si pronunciò in una perizia: " Se la carriera universitaria venisse resa accessibile per le donne, potrei allora caldamente raccomandarla più di qualsiasi altra persona per l'ammissione all'esame di abilitazione ". Più tardi le venne negata l'abilitazione a causa della sua origine giudaica. Edith Stein ritorna a Breslavia. Scrive articoli a giustificazione della psicologia e discipline umanistiche. Legge però anche il Nuovo Testamento, Kierkegaard e il libriccino d'esercizi di Ignazio di Loyola. Percepisce che un tale scritto non si può semplicemente leggere, bisogna metterlo in pratica. Nell’estate del 1921 si recò per alcune settimane a Bergzabern (Palatinato), nella tenuta della Signora Hedwig Conrad-Martius, una discepola di Husserl. Questa Signora si era convertita, assieme al proprio coniuge, alla fede evangelica. Una sera Edith trovò nella libreria l'autobiografia di Teresa d'Avila. La lesse per tutta la notte. " Quando rinchiusi il libro mi dissi: questa è la verità ". Considerando retrospettivamente la sua vita scrisse più tardi: " Il mio anelito per la verità era un'unica preghiera". Il l° gennaio del 1922 Edith Stein si fece battezzare. Era il giorno della Circoncisione di Gesù, l'accoglienza di Gesù nella stirpe di Abramo. Edith Stein stava eretta davanti alla fonte battesimale, vestita con il bianco manto nuziale di Hedwig ConradMartius che funse da madrina. "Avevo cessato di praticare la mia religione ebraica e mi sentivo nuovamente ebrea solo dopo il mio ritorno a Dio". Ora sarà sempre cosciente, non solo intellettualmente ma anche tangibilmente, di appartenere alla stirpe di Cristo. Alla festa della Candelora, anche questo un giorno la cui origine risale al Vecchio Testamento, venne cresimata dal Vescovo di Spira nella sua cappella privata. Dopo la conversione, per prima cosa si recò a Breslavia. "Mamma, sono cattolica". Ambedue piansero. Hedwig CornradMartius scrisse: "Vedi, due israelite e nessuna è insincera" (confr. Giovanni 1, 47). Subito dopo la sua conversione Edith Stein aspira al Carmelo ma i suoi interlocutori spirituali, il Vicario generale di Spira e il Padre Erich Przywara SJ, le impediscono questo passo. Fino alla Pasqua del 1931 assume allora un impiego d'insegnante di tedesco e storia presso il liceo e seminario per insegnanti del convento domenicano della Maddalena di Spira. Su insistenza dell'Arciabate Raphael Walzer del Convento di Beuron intraprende lunghi viaggi per indire conferenze, soprattutto su temi femminili. " Durante il periodo immediatamente prima e anche per molto tempo dopo la mia conversione ... credevo che condurre una vita religiosa significasse rinunciare a tutte le cose terrene e vivere solo nel pensiero di Dio. Gradualmente però mi sono resa conto che questo mondo richiede ben altro da noi ... io credo persino: più uno si sente attirato da Dio e più deve "uscire da se stesso", nel senso di rivolgersi al mondo per portare ivi una divina ragione di vivere ". Enorme è il suo programma di lavoro. Traduce le lettere e i diari del periodo precattolico di Newmann e l'opera " Questiones disputati de veritate " di Tommaso d'Aquino e ciò in una versione molto libera, per amore del dialogo con la moderna filosofia. Il Padre Erich Przywara SJ la spronò a scrivere anche proprie opere filosofiche. Imparò che è possibile " praticare la scienza al servizio di Dio ... solo per tale ragione ho potuto decidermi ad iniziare serie opere scientifiche ". Per la sua vita e per il suo lavoro ritrova sempre le necessarie forze nel convento dei Benedettini di Beuron dove si reca a trascorrere le maggiori festività dell'anno ecclesiastico. Nel 1931 termina la sua attività a Spira. Tenta nuovamente di ottenere l'abilitazione alla libera docenza a Breslavia e Friburgo. Invano. Dà allora forma ad un'opera sui principali concetti di Tommaso d'Aquino: " Potenza ed azione ". Più tardi farà di questo saggio la sua opera maggiore elaborandolo sotto il titolo " Endliches un ewiges Sein " (Essere finito ed Essere eterno) e ciò nel convento delle Carmelitane di Colonia. Una stampa dell'opera non fu possibile durante la sua vita. Nel 1932 le venne assegnata una cattedra presso una istituzione cattolica, l'Istituto di Pedagogia Scientifica di Miinster, dove ha la possibilità di sviluppare la propria antropologia. Qui ha il modo di unire scienza e fede e di portare alla comprensione d'altri quest'unione. In tutta la sua vita vuole solo essere " strumento di Dio ". " Chi viene da me desidero condurlo a Lui ". Nel 1933 la notte scende sulla Germania. " Avevo già sentito prima delle severe misure contro gli ebrei. Ma ora cominciai improvvisamente a capire che Dio aveva posto ancora una volta pesantemente la Sua mano sul Suo popolo e che il destino di questo popolo era anche il mio destino" . L'articolo di legge sulla stirpe ariana dei nazisti rese impossibile la continuazione dell'attività d'insegnante. " Se qui non posso continuare, in Germania non ci sono più possibilità per me ". " Ero divenuta una straniera nel mondo ". L'Arciabate Walzer di Beuron non le impedì più di entrare in un convento delle Carmelitane. Già al tempo in cui si trovava a Spira aveva fatto il voto di povertà, di castità e d'ubbidienza. Nel 1933 si presenta alla Madre Priora del Monastero delle Carmelitane di Colonia. "Non l'attività umana ci può aiutare ma solamente la passione di Cristo. Il mio desiderio è quello di parteciparvi ". Ancora una volta Edith Stein si reca a Breslavia per prendere commiato dalla madre e dalla sua famiglia. L'ultimo giorno che trascorse a casa sua fu il 12 ottobre, il giorno del suo compleanno e contemporaneamente la festività ebraica dei tabernacoli. Edith accompagna la madre nella sinagoga. Per le due donne non fu una giornata facile. " Perché l'hai conosciuta (la fede cristiana)? Non voglio dire nulla contro di Lui. Sarà anche stato un uomo buono. Ma perché s'è fatto Dio?". La madre piange. Il mattino dopo Edith prende il treno per Colonia. " Non poteva subentrare una gioia impetuosa. Quello che lasciavo dietro di me era troppo terribile. Ma io ero calmissima - nel porto della volontà di Dio ". Ogni settimana scriverà poi una lettera alla madre. Non riceverà risposte. La sorella Rosa le manderà notizie da casa. Il 14 ottobre Edith Stein entra nel monastero delle Carmelitane di Colonia. Nel 1934, il 14 aprile, la cerimonia della sua vestizione. L'Arciabate di Beuron celebrò la messa. Da quel momento Edith Stein porterà il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. Nel 1938 scrive: " Sotto la Croce capii il destino del popolo di Dio che allora (1933) cominciava ad annunciarsi. Pensavo che capissero che si trattava della Croce di Cristo, che dovevano accettarla a nome di tutti gli altri. Certo, oggi comprendo di più su queste cose, che cosa significa essere sposa del Signore sotto il segno della Croce. Certo, non sarà mai possibile di comprendere tutto questo, poiché è un segreto ". Il 21 aprile del 1935 fece i voti temporali. Il 14 settembre del 1936, al tempo del rinnovo dei voti, muore la madre a Breslavia. " Fino all'ultimo momento mia madre è rimasta fedele alla sua religione. Ma poiché la sua fede e la sua ferma fiducia nel suo Dio ... fu l'ultima cosa che rimase viva nella sua agonia, ho fiducia che ha trovato un giudice molto clemente e che ora è la mia più fedele assistente, in modo che anch'io possa arrivare alla meta". Sull'immagine devozionale della sua professione perpetua dei voti, il 21 aprile del 1938, fa stampare le parole di San Giovanni della Croce al quale lei dedicherà la sua ultima opera: " La mia unica professione sarà d'ora in poi l'amore". L'entrata di Edith Stein nel convento delle Carmelitane non è stata una fuga. " Chi entra nel Carmelo non è perduto per i suoi, ma in effetti ancora più vicino; questo poiché è la nostra professione di rendere conto a Dio per tutti ". Soprattutto rese conto a Dio per il suo popolo. " Devo continuamente pensare alla regina Ester che venne sottratta al suo popolo per renderne conto davanti al re. Io sono una piccola e debole Ester ma il Re che mi ha eletto è infinitamente grande e misericordioso. Questa è una grande consolazione" (31-10-1938). Il giorno 9 novembre 1938 l'odio portato dai nazisti verso gli ebrei viene palesato a tutto il mondo. Le sinagoghe bruciano. Il terrore viene sparso fra la gente ebrea. La Madre Priora delle Carmelitane di Colonia fa tutto il possibile per portare Suor Teresa Benedetta della Croce all'estero. Nella notte di capodanno del 1938 attraversa il confine dei Paesi Bassi e viene portata nel monastero delle Carmelitane di Echt, in Olanda. In quel luogo stila il 9 giugno 1939 il suo testamento: " Già ora accetto con gioia, in completa sottomissione e secondo la Sua santissima volontà, la morte che Iddio mi ha destinato. Io prego il Signore che accetti la mia vita e la mia morte ... in modo che il Signore venga riconosciuto dai Suoi e che il Suo regno venga in tutta la sua magnificenza per la salvezza della Germania e la pace del mondo... ". Già nel monastero delle Carmelitane di Colonia a Edith Stein era stato concesso il permesso di dedicarsi alle opere scientifiche. Fra l'altro scrisse in quel luogo "Dalla vita di una famiglia ebrea". " Desidero semplicemente raccontare che cosa ho sperimentato ad essere ebrea ". Nei confronti " della gioventù che oggi viene educata già dall'età più tenera ad odiare gli ebrei ... noi, che siamo statì educati nella comunità ebraica, abbiamo il dovere di rendere testimonianza ". In tutta fretta Edith Stein scriverà ad Echt il suo saggio su " Giovanni della Croce, il mistico Dottore della Chiesa, in occasione del quattrocentesimo anniversario della sua nascita, 1542-1942 ". Nel 1941 scrisse ad una religiosa con cui aveva rapporti d'amicizia: " Una scientia crucis (la scienza della croce) può essere appresa solo se si sente tutto il peso della croce. Dì ciò ero convinta già dal primo attimo e di tutto cuore ho pronunciato: Ave, Crux, Spes unica (ti saluto, Croce, nostra unica speranza) ". Il suo saggio su San Giovanni della Croce porta la didascalia: " La scienza della Croce ". Il 2 agosto del 1942 arriva la Gestapo. Edith Stein si trova nella cappella, assieme alla altre Sorelle. Nel giro di 5 minuti deve presentarsi, assieme a sua sorella Rosa che si era battezzata nella Chiesa cattolica e prestava servizio presso le Carmelitane di Echt. Le ultime parole di Edith Stein che ad Echt s'odono, sono rivolte a Rosa: " Vieni, andiamo per il nostro popolo ". Assieme a molti altri ebrei convertiti al cristianesimo le due donne vengono portate al campo di raccolta di Westerbork. Si trattava di una vendetta contro la comunicazione di protesta dei vescovi cattolici dei Paesi Bassi contro i pogrom e le deportazioni degli ebrei. " Che gli esseri umani potessero arrivare ad essere così, non l'ho mai saputo e che le mie sorelle e i miei fratelli dovessero soffrire così, anche questo non l'ho veramente saputo ... in ogni ora prego per loro. Che oda Dio la mia preghiera? Con certezza però ode i loro lamenti ". Il prof. Jan Nota, a lei legato, scriverà più tardi. " Per me lei è, in un mondo di negazione di Dio, una testimone della presenza di Dio ". All'alba del 7 agosto parte un carico di 987 ebrei in direzione Auschwitz. Fu il giorno 9 agosto nel quale Suor Teresa Benedetta della Croce, assieme a sua sorella Rosa ed a molti altri del suo popolo, morì nelle camere a gas di Auschwitz. Con la sua beatificazione nel Duomo di Colonia, il 1° maggio del 1987, la Chiesa onorò, per esprimerlo con le parole del Pontefice Giovanni Paolo II, " una figlia d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea". Domenico Bianchi Lions DO - venerdì 30 marzo 2018
SAN DOMENICO SAVIO
Nacque il 02/04/1842 e, ancora bambino decise quale sarebbe stato il suo progetto di vita: vivere da vero cristiano e in questo fu decisivo l’incontro con don Bosco. Da quel momento infatti la sua esistenza fu piena d’amore e carità verso il prossimo, cercando in occasione di dare l'esempio. Nel 1856 fondò la Compagnia dell'Immacolata e poco più tardi morì quasi quindicenne divenendo così il più giovane santo cattolico non martire. - Quando Domenico Savio morì, Don Bosco era talmente convinto della sua santità che decise di pubblicarne subito la biografia. In effetti, questo ragazzo morto a poco più di quattordici anni aveva tutte le carte in regola per essere additato come modello ai giovani. Domenico nacque a Riva di Chieri, in provincia di Torino, il 2 aprile 1842. Il padre era un fabbro ferraio, la mamma una brava sarta. Due anni dopo, per motivi di lavoro, la famiglia si trasferì a Murialdo, a poca distanza da Castelnuovo d’Asti, paese natale di Don Bosco. Il sacerdote del luogo gli permise di fare la prima comunione in anticipo, vale dire a 7 anni ed il giovane gli confidò : “1. Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore mi darà licenza. 2. Voglio santificare i giorni festivi. 3. I miei amici saranno Gesù e Maria. 4. La morte, ma non i peccati”. Questi propositi furono il suo programma di vita. All’inizio del 1853 la famiglia Savio si trasferì, sempre per motivi di lavoro, a Mondonio, un piccolo borgo nei pressi di Castelnuovo, dove il ragazzo terminò le scuole elementari. Il suo maestro, Don Cugliero, riferì in una lettera inviata all’Archivio salesiano centrale un episodio particolarmente significativo: Dei ragazzi un poco discoli lo incolparono ingiustamente ma il giovane non si ribellò e disse “Anche il Signore è stato calunniato ingiustamente. E non si è mica ribellato”. Il sacerdote rimase come paralizzato da questa risposta e procurò un incontro tra Domenico e Don Bosco. : “Ho capito”, commentò il ragazzo: “Qui si cercano anime per il Signore. Spero che anche la mia sarà del Signore”. L’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione di Maria, che Pio IX in quello stesso giorno proclamava solennemente come dogma di fede, Domenico, riferisce Don Bosco, “compiute le sacre funzioni in chiesa, col consiglio del confessore andò avanti all’altare di Maria, rinnovò le promesse fatte nella prima comunione, poi disse: ‘Maria, vi dono il mio cuore: fate che sia sempre vostro, Gesù e Maria, siate voi sempre gli amici miei! Ma per pietà, fatemi morire piuttosto che m’accada la disgrazia di commettere un solo peccato’”. Da quel momento, Don Bosco cominciò a osservare attentamente la condotta esemplare del giovane e a prendere nota degli episodi più significativi. Don Bosco chiese ai ragazzi quale regalo desiderassero da lui. Domenico scrisse: “Mi aiuti a farmi santo”. Don Bosco gli indicò la “ricetta” giusta per la santità: allegria, osservare i doveri di studio e di preghiera, far del bene agli altri. Da quel momento fino alla morte Domenico si sforzò di essere esemplare in tutto: si notavano in lui una pietà profonda unita a una serena allegria; e un impegno speciale per venire in aiuto ai compagni, magari giocando con uno che era trascurato dagli altri, facendo ripetizione a chi ne aveva bisogno, o assistendo quelli malati. Circa un anno dopo, il Savio ebbe un’idea: formare un gruppo di ragazzi per far del bene insieme, una specie di società che chiamò Compagnia dell’Immacolata e che fu subito approvata da Don Bosco.
Sul letto di morte: Domenico si mise a letto il 4 marzo e in soli cinque giorni una grave polmonite lo stroncò. Non aveva ancora quindici anni. Chi gli era vicino racconta che prima di spirare gli si illuminò il volto mentre esclamava: “Che bella cosa io vedo mai!”. Nel 1914 i suoi resti mortali furono traslati a Torino nella basilica di Maria Ausiliatrice.
Pio XI lo definì “Piccolo, anzi grande gigante dello spirito”. Dichiarato eroe delle virtù cristiane il 9 luglio 1933, il venerabile pontefice Pio XII beatificò Domenico Savio il 5 marzo 1950 e, in seguito al il venerabile pontefice Pio XII beatificò Domenico Savio il 5 marzo 1950 e, in seguito al riconoscimento di altri due miracoli avvenuti per sua intercessione, lo canonizzò il 12 giugno 1954.
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini
Lo scrittore, poeta e filosofo francese Paul Valery
Ambroise Paul Toussaint Jules Valéry è nato a Sète, il 30 ottobre 1871 ed è morto a Parigi, il 20 luglio 1945 ed è stato uno scrittore, poeta e filosofo francese assai importante. Figlio di Barthélemy, un controllore delle dogane d'origine corsa e di Fanny Grassi, genovese, figlia del console del Regno di Sardegna a Sète , Paul Valéry frequentò le scuole primarie a Sète (in quel periodo scritto Cette), presso i Domenicani, proseguendo poi al liceo di Montpellier. Nel 1889 cominciò gli studi di diritto, pubblicando, nello stesso anno, i suoi primi versi nella Revue maritime de Marseille. Queste sue prime opere sono ascrivibili al movimento simbolista. Nel 1890 Valéry incontra Pierre Louÿs, che sarà fondamentale per la sua vocazione di poeta: è infatti quest'ultimo a presentargli André Gide e introdurlo nella stretta cerchia del poeta Stéphane Mallarmé.
La crisi di Genova :
Nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 1892, a Genova cadde in ciò che avrebbe poi descritto come una grave crisi esistenziale. Al mattino era deciso a ripudiare gli idoli della letteratura, dell'amore e dell'imprecisione per consacrare l'essenza della sua vita a ciò che indicò come la via dello spirito: ce lo testimoniano i suoi cahiers, diari nei quali si costringe ad annotare ogni mattino tutte le sue riflessioni. Dopo di che, aggiunge come battuta di spirito, "avendo consacrato queste ore alla via dello spirito, mi sento in diritto di essere sciocco per il resto del giorno". Aveva quindi escluso completamente la poesia dalla sua vita? No, anche se, a suo dire, "ogni poema che non avesse la precisione esatta della prosa non ha nessun valore", oppure, come aveva affermato Malherbe, la tiene alla stessa distanza del suo predecessore che aveva detto molto più seriamente che "un buon poeta non è più utile al suo paese di quanto non sia un buon giocatore di bocce". Ad ogni modo, Valéry indicò ripetutamente questa notte come la sua vera nascita, l'inizio della sua vita mentale. Nel 1894, si trasferì a Parigi, dove trascorse il resto della sua vita, e dove cominciò a lavorare come redattore al ministero della guerra. Rimase lontano dalla scrittura poetica per consacrarsi alla conoscenza di sé e del mondo e lavorò assiduamente alla redazione dei suoi Cahiers, diari intellettuali e psicologici, che vedranno la pubblicazione, non interamente, solo dopo la sua morte. Nel 1900 sposò Jeannine Gobillard, con cui ebbe tre figli.
La jeune Parque :
nel 1917, sotto l'influenza principalmente di André Gide, ritornò alla poesia, con la Jeune Parque, pubblicato presso la Gallimard, a cui seguirono un altro grande poema, Le Cimetière marin (1920) e una raccolta, Charmes (1922). Sotto l'influsso di Stéphane Mallarmé, privilegiò sempre nella sua poetica il formale dominio a scapito del senso e dell'ispirazione. Dopo la prima guerra mondiale, nel 1924, venne eletto presidente del Pen Club francese, poi membro dell'Académie française. Il discorso tenuto da Paul Valéry "poeta ufficiale" immensamente celebre che, nella sua mancanza di interesse verso le cariche e gli onori, si diverte del suo predecessore, come da tradizione dell'Académie
française, è rimasto negli annali: durante tutta l'orazione, Valéry non pronunciò nemmeno una volta il nome di Anatole France, reo di aver rifiutato a Mallarmé una pubblicazione nel 1874 su Le Parnasse contemporain. Seguirono anni di cariche sempre più importanti, al consiglio dei musei, al centro universitario di Nizza, la presidenza della commissione di sintesi per la cooperazione culturale per l'esposizione universale del 1936; nel 1937, addirittura, una cattedra (quella di poetico al Collège de France) venne creata appositamente per lui. Infine, nel 1939 divenne presidente onorario della SACEM. Ma durante tutto questo tempo, la sua vera professione continuava nell'ombra: la profondità delle riflessioni che diede alle stampe in opere consistenti tipo “ La soirée avec monsieur Teste”; i suoi studi sul divenire della civiltà et altro ancora. e il suo posto d'amministratore a Nizza. Morì il 20 luglio, poche settimane dopo la fine della seconda guerra mondiale . Il presidente Quinta Repubblica francese Charles de Gaulle richiese per lui funerali di Stato.; dopo i quali venne sepolto a Sète, nel cimitero marino.
Cari amici Lions, lo scrittore Paul Valéry è stato certamente una intelligenza assai acuta del '900. Era un poeta, un filosofo, uno scienziato, uno scrittore, un giornalista o che altro ? Valéry era un'intelligenza pura, e usava sia l'emisfero destro dell'intuizione che l'emisfero sinistro dell'analisi, penetrando il linguaggio e il pensiero . Permettetemi ora di riportarVi quanto leggo su un quotidiano vale a dire quanto egli disse in una lettera diretta ad un grande suo amico, che era un diplomatico spagnolo et europeista convinto, sulla società degli spiriti e , se ben notate, ne esce un Valery”politico”ma non nel senso ideologico o partitico ma nel senso di uno scrittore che ha nel cuore il rapporto tra pensiero et azione politica e che pertanto pensa ad una Europa unita non dalla burocrazia e dalle leggi ma dalla stessa cultura che è GRECA,ROMANA e CRISTIANA.
Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini - 13 03 2018 (secondo anno del Papa Francesco)
La scrittrice Milli Dandolo poetessa e traduttrice scomparsa giovane
La scrittrice Milli Dandolo nata a Milano nel 1895 da un'agiata famiglia di origine veneta, ebbe modo di manifestare il suo precoce talento già a quattordici anni, nel 1909, collaborando con Il passerotto, un supplemento del settimanale per bambini Il giornalino della Domenica, allora diretto dallo scrittore Luigi Bertelli, noto con lo pseudonimo di Vamba e autore del celebre Il giornalino di Gian Burrasca. Quattro anni dopo, nel 1913, l'editore Treves pubblicò il suo primo volume, Poesie, con prefazione dello stesso Vamba. Passata poi al genere narrativo, a lei più congeniale, seguendo anche quanto le aveva suggerito il nuovo direttore del Giornalino Giuseppe Fanciulli , pubblicò una serie di romanzi quali Il figlio del mio dolore (1921), È caduta una donna (1936), Croce e delizia, (1944) e alcuni libri dedicati ai ragazzi, improntati dalla formazione cattolica e conservatrice dell'autrice. Fu anche collaboratrice di giornali e riviste, quali il quotidiano La Gazzetta del Popolo, il settimanale l'Illustrazione Italiana, il mensile La Lettura, e fu traduttrice. Molti si ricordano i due celebri romanzi dello scrittore scozzese James Matthew Barrie: Peter Pan nei Giardini di Kensington e Peter e Wendy, editi in un solo volume dall'editore Bompiani nel 1939 e recentemente ristampato. Dai suoi romanzi furono tratti due film, entrambi usciti nel 1941: È caduta una donna, diretto da Alfredo Guarini e La fuggitiva, del regista Piero Ballerini . Malata, ma pur sempre attiva, morì nella città natale, a cinquantuno anni, nel 1946, lasciando il marito nonché collega Eugenio Gara e il figlio Giuliano. Riposa al Cimitero Monumentale di Milano . Lions DO Domenico Bianchi // Ascritto I.C. Rosmini Era amica della mia nonna materna e si incontravano sovente in luoghi di villeggiatura. Di mia nonna scomparsa pure lei pure assai giovane non dimenticherò mai la novella del cagnolino di nome Azor.
Lo scrittore e regista italiano Folco Quilici
Lo scrittore storico risorgimentale Salvator Gotta
Salvator Gotta, del quale ricorre quest’anno il trentennale della scomparsa avvenuta nella riviera ligure dove si era ritirato, è stato non solo uno scrittore prolifico ma anche fra i più amati della prima metà del Novecento. Una settantina dei suoi romanzi superarono le 100mila copie; furono tradotti in una decina di lingue e furono apprezzati anche da critici severi e attenti come Giuseppe Ravegnani. È stato calcolato che le vendite dei suoi volumi abbiano superato il milione di copie. Quando Tommaso Monicelli lo convinse a scrivere per il rotocalco Novella il romanzo La signora di tutti, la rivista registrò un balzo: da 180mila a ben 250mila copie. E dal romanzo venne tratto un film, poi presentato e premiato al festival di Venezia. Oggi lo scrittore piemontese che nacque in provincia di Ivrea nel 1887 è quasi dimenticato e da tempo non più presente nei cataloghi di editori che sulle sue opere costruirono una fortuna. A tale destino hanno contribuito, certamente, il mutamento del gusto, ma anche certe preclusioni di natura più propriamente “politica” che tendevano a considerare obsoleti il “messaggio” e i valori, “nazionali”, trasmessi nei romanzi di questo scrittore gentiluomo, caparbiamente legato alla storia dell’Italia risorgimentale, sabauda .
GOTTA Salvatore, nacque il 18 maggio 1887 a Montalto Dora, presso Torino, e morì a Rapallo il 07 giugno 1980. Nacque da Vincenzo, magistrato, e da Luigia Pavese. La famiglia apparteneva alla buona borghesia locale e quella della madre, in particolare, vantava "tradizioni d'intelletto". A motivo della carriera del padre il Gotta si trasferì ben presto a Ivrea, sede del tribunale. Iscrittosi alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Torino, entrò in contatto con l'ambiente intellettuale cittadino e soprattutto con la cerchia dei giovani che si incontravano ai "sabati letterari" organizzati da Arturo Graf. Conobbe pertanto, tra gli altri, Gozzano, suo compagno di studi, Giacosa e Pastonchi, del quale, negli anni seguenti, fu stretto collaboratore. Laureatosi sia in giurisprudenza sia in lettere, si impiegò presso un avvocato di Ivrea, iniziando nel frattempo la propria attività di narratore con la collaborazione a vari periodici, tra i quali Il Marzocco e La Lettura. Il suo esordio in volume risale, comunque, agli anni universitari: si tratta della raccolta di novelle Prima del sonno (1909), pubblicata a proprie spese presso la casa editrice Baldini e Castoldi di Milano, con la quale strinse un duraturo sodalizio, protrattosi fino al 1945. La sua primissima produzione risulta caratterizzata da atmosfere vagamente crepuscolari, certamente determinate dalle frequentazioni giovanili. Nel marzo 1913 sposò Adelina Cagliero, dalla quale, nel gennaio 1916, ebbe l'unico figlio, Massimo. Allo scoppio del primo conflitto mondiale, si arruolò volontario nella Croce rossa, per poi divenire, nella primavera del 1917, sottotenente di artiglieria; venne infine congedato con il grado di tenente e una medaglia d'argento al valore. In quello stesso anno pubblicò il suo primo romanzo di ampio successo, Il figlio inquieto, scritto "già con la coscienza di rappresentare un mondo che stava per conchiudersi nella rievocazione nostalgica di una società ormai in disfacimento. Nella narrazione compare peraltro il personaggio di Claudio Vela, una delle tante figure di quell'enorme affresco che sarà poi la Saga de i Vela. Nel 1919 fece anche le sue prime prove sulla scena con La nuova ricchezza, un'opera dedicata ai problemi sociali del dopoguerra che non incontrò il favore del pubblico, così come il successivo dramma amoroso Lontananze (1923). Con l’avvento del fascismo, a cui aderì la più parte degli intellettuali italiani, il nostro inizialmente aderì con cautela a questo nuovo movimento ma successivamente l’abbracciò fedelmente. A partire dal 1920 si dedicò quasi esclusivamente alla letteratura, impegnandosi con il proprio editore nella produzione di un romanzo all'anno e la sua fama si consolidò ulteriormente. Membro della Società degli autori, nel 1925 partecipò ai lavori della commissione che preparò la nuova legge sul diritto d'autore. L'anno successivo pubblicò il suo primo romanzo "per la gioventù": Piccolo alpino.” Vi si narrano le vicissitudini di un bambino, Giacomino Rasi, nel corso della Grande Guerra. Nell'opera confluiscono certi toni nazionalistici che mettono in evidenza il valore formativo dell'alta montagna. Almeno fino alla metà del XX secolo, il libro è stato un best seller e il persistere del suo successo è testimoniato anche dalla trasposizione cinematografica del 1940. Gli anni Trenta furono quelli della sua maggiore popolarità, dovuta anche alla pubblicazione di alcuni romanzi su rivista ancor prima che in volume. A questo periodo risale anche La damigella di Bard (1936), unico trionfo teatrale dello scrittore che, in genere, non riscosse mai particolare fortuna alla prova della scena. Fu invece proprio ii cinema, mai troppo amato dallo scrittore, che lo considerava "un surrogato dell'arte" ad ampliare la notorietà dell'autore, il quale partecipò come sceneggiatore o dialoghista, talvolta non accreditato, alla realizzazione di alcune pellicole di grande successo di quegli anni, tra cui Cavalleria di Alessandrini (1936), Addio giovinezza di Poggioli (1940) e La fuggitiva di Ballerini (1941). Dai suoi romanzi, poi, furono tratti i soggetti di numerosi film, il più celebre e riuscito dei quali è senza dubbio La signora di tutti, diretto nel 1934 da Ophüls e interpretato da Isa Miranda e dall’attore Benassi. Continuò a scrivere, anche nel dopoguerra alcuni romanzi di evasione e divenne popolarissimo tra gli adolescenti negli anni Sessanta e Settanta perché teneva una rubrica di domande e risposte sul settimanale a fumetti Topolino (in una puntata di tale rubrica, rivelò che era stato tra coloro che rinvennero il corpo di Emilio Salgari) e per i suoi romanzi storici sul Risorgimento. L’Inno Giovinezza in realtà nacque nel 1909 come canto goliardico degli universitari a opera di Oxilia (che morì nella Grande Guerra) e Blanc., entrambi assai amici del Gotta. Nel 1911 gli Alpini lo adottarono come loro inno nella Campagna di Libia, per poi diventare, nel 1917, l’Inno degli Arditi e, nel 1919, degli Squadristi. A ogni versione le parole cambiavano sino a divenire l’inno del PNF. Che Gotta fosse uno scrittore “di consumo” è fuor di dubbio. Ma i suoi romanzi erano ben diversi dalla letteratura popolare, quella dei Luciano Zuccoli, dei Lucio D’Ambra, dei Michele Saponaro e via dicendo, se non per altro almeno per il gusto di una narrazione complessa e articolata che aspirava a tratteggiare un mondo, quello della borghesia e dell’aristocrazia piemontese prima e italiana poi, attraverso il racconto di vicende familiari che si distendono nel tempo e si intrecciano con i fatti storici. Sotto questo profilo, fu una delle espressioni più significative del romanzo “ciclico” e “storico” che non ebbe mai, in Italia, quella fortuna che al genere arrise per esempio Oltralpe secondo una linea che va dalla Comédie humaine di Honoré de Balzac a Les Thibault del premio Nobel Roger Martin du Gard, passando per il ciclo dei Rougon-Macquart di Emile Zola. Cresciuto e formatosi nella Torino d’inizio del secolo alla scuola di Arturo Graf e del mondo che circondava questo illustre poeta e critico letterario, Gotta esordì come romanziere con Il figlio inquieto, pubblicato nel 1917, in piena guerra mondiale e destinato ad essere inserito nel ciclo narrativo dei Vela, che segue le vicende di una famiglia piemontese dal Risorgimento fino all’età contemporanea e al quale è rimasta legata la sua fama di scrittore. Anche se invitato più volte a partecipare alla repubblica sociale italiana di Salò, il nostro rifiutò sempre con energia ed i fascisti rimasti gli tolsero la possibilità di vendere i suoi libri. E’ forse lo scritto del libro “Ottocento “quello che attesta, con una ricerca meticolosa di fonti storiche e con una ricostruzione minuta di ambienti e situazioni, con una attenzione alla psicologia dei personaggi e con una scrittura classica e lineare , la statura di scrittore di Salvator Gotta. Uno scrittore che meriterebbe di essere riproposto, se non riscoperto, proprio in occasione delle celebrazioni dell’Unità d’Italia.
Domenico Bianchi Lions DO //Ascritto I.C. Rosmini 25 02 18
Cari amici Lions descrivervi la vita di uno scrittore che fu assai importante per la letteratura italiana non mi è stato semplice; ancora oggi mi ricordo il libro “il piccolo Alpino “che lessi durante i primi anni di ginnasio e “ 800 “che lessi frequentando il liceo.
Ada Negri
Cari amici Lions permettetemi di ritornare al secolo scorso per parlarVi di alcuni personaggi ingiustamente dimenticati dalla letteratura attuale ma i cui libri e poesie ebbero un notevole successo tra il popolo colto di quel periodo storico. Il primo di questi personaggi è Ada Negri che nasce a Lodi il 3 febbraio 1870 e muore a Milano il 11 gennaio 1945 ed è stata una poetessa, scrittrice e insegnante italiana. È ricordata inoltre per essere stata la prima e unica donna a essere ammessa all'Accademia d'Italia. Le sue origini erano umili: suo padre Giuseppe era vetturino e sua madre, Vittoria Cornalba, tessitrice; passò l'infanzia nella portineria del palazzo dove la nonna, Peppina Panni, lavorava come custode presso una nobile famiglia . Sul rapporto tra questa famiglia e la sua, Ada costruirà il mito della propria infanzia. In portineria Ada passava molto tempo sola, osservando il passaggio delle persone, come descritto nel romanzo autobiografico Stella Mattutina (1921). Il padre era un avvinazzato considerato un peso dalla madre Vittoria: fu grazie ai sacrifici di questa, la quale cercò un guadagno sicuro in fabbrica, che Ada poté frequentare la Scuola Normale femminile di Lodi, ottenendo il diploma di insegnante elementare. Il suo primo impiego fu al Collegio Femminile di Codogno, nel 1887. La vera esperienza d'insegnamento che segnò la sua vita e la produzione artistica, però, fu intrapresa a partire dal 1888, nella scuola elementare di Motta Visconti, paesotto in provincia di Milano nel quale Ada passò il periodo più felice della sua vita; al mestiere di maestra è legata e contemporanea l'attività di poetessa: fu in questo periodo che iniziò a pubblicare i suoi scritti su un giornale lombardo, il Fanfulla di Lodi. In questo periodo compose le poesie poi pubblicate nel 1892 nella raccolta Fatalità: questo libro ebbe un grande successo, portando Ada ad acquistare grande fama, a tal punto che, su decreto del ministro Zanardelli, le fu conferito il titolo di docente per chiara fama presso l'Istituto superiore "Gaetana Agnesi" di Milano. Così si trasferì con la madre nel capoluogo lombardo. A Milano entrò in contatto con i membri del Partito socialista italiano, anche grazie agli apprezzamenti ricevuti da alcuni di essi per la propria produzione poetica, nella quale è molto sentita la questione sociale. Tra loro ebbe un ruolo fondamentale il giornalista Ettore Patrizi, col quale ebbe intense relazioni epistolari; conobbe poi Filippo Turati, Benito Mussolini e Anna Kuliscioff (della quale ebbe a dire di sentirsi sorella ideale. Nel 1894 vinse il Premio Giannina Milli per la poesia e nello stesso anno uscì la sua seconda raccolta di poesie, Tempeste, meno apprezzata di Fatalità, nonché vittima di una forte critica da parte di Luigi Pirandello. In questo periodo la sua lirica si concentrò soprattutto su temi sociali ed ebbe forti toni di denuncia, tanto da farla definire la poetessa del Quarto Stato. Il 1896 fu l'anno di uno sbrigativo e presto fallimentare matrimonio con Giovanni Garlanda, industriale tessile di Biella, dal quale ebbe la figlia Bianca, ispiratrice di molte poesie, e un'altra bambina, Vittoria, che morì a un mese di vita. Da questo periodo le sue vicende personali modificarono fortemente la sua poetica e le sue opere divennero fortemente introspettive e autobiografiche, come si vede in Maternità, pubblicata nel 1904, e Dal Profondo (1910). La separazione con Garlanda avvenne nel 1913, anno in cui Ada si trasferì a Zurigo, dove rimase fino all'inizio della Prima guerra mondiale e dove strinse amicizia, tra gli altri, con Fulcieri Paulucci de Calboli; da Zurigo scrive Esilio, pubblicato nel 1914, opera con evidente riferimento autobiografico, e la raccolta di novelle Le solitarie, pubblicata nel 1917, opera moderna ed attenta alle molte sfaccettature della tematica femminile. L'anno seguente esce Orazioni, raccolta di odi alla patria: gli anni della guerra avevano trasformato la passione civile in patriottismo. Dal 1915 si ha traccia della sua presenza a Lodi attraverso la corrispondenza con l'attrice Paola Pezzaglia, interprete sulle scene della sua poesia. La corda principale della sua poesia erano ormai i sentimenti e, avanzando gli anni, la memoria; nel 1919, lo stesso anno in cui moriva la madre Vittoria , da un'altra esperienza amorosa nasceva una nuova raccolta di poesie, Il libro di Mara, raccolta inusuale per la società cattolica e conservatrice di quell'epoca. Due anni dopo, nel 1921, anno del matrimonio della figlia Bianca, è la volta di Stella mattutina, romanzo autobiografico di successo. Nel 1926 e nel '27 Ada Negri venne nominata al Premio Nobel per la Letteratura. Nel 1931 l'autrice fu insignita del Premio Mussolini per la carriera; erano gli anni in cui Benito Mussolini ancora utilizzava i rapporti nati nel suo periodo socialista. Il premio consacrò Ada Negri come intellettuale di regime, tanto che nel 1940 fu la prima donna membro dell'Accademia d'Italia. Non rinnegò mai la sua adesione al regime .Ma ormai la sua vita era permeata da profondo pessimismo, chiusa in se stessa e in una ritrovata religiosità che la portarono ad affondare in un progressivo oblio.Morì nel 1945 e fu sepolta nel famedio di Milano. Il 3 aprile 1976 la sua tomba è stata traslata nell'antica Chiesa di San Francesco a Lodi.
Lo scrittore e militare Italiano Mario Rigoni Stern
Mario Rigoni Stern nasce ad Asiago, il 1º novembre 1921 e muore ad Asiago, il i6 giugno 2008 ed è stato un militare e anche uno scrittore italiano. Il suo romanzo più noto è Il sergente nella neve (1953), un'autobiografia della ritirata di Russia. Legatissimo alla sua terra l'altopiano di Asiago, era il discendente dell'ultimo cancelliere della federazione dei Sette Comuni . Primo Levi lo definì "uno dei più grandi scrittori italiani". Nato ad Asiago, sull'altopiano dei Sette Comuni, nel 1921 da Giovanni Battista Rigoni e Annetta Vescovi, terzo di sette fratelli, e una sorella, trascorse l'infanzia tra i pastori e la gente di montagna dell'altopiano. La famiglia Rigoni soprannominata "Stern" commerciava con la pianura in prodotti delle malghe alpine, pezze di lino, lana e manufatti in legno della comunità dell'Altipiano. Studiò fino alla terza avviamento professionale, per poi lavorare presso la bottega di famiglia. Nella seconda guerra mondiale si era nel 1938, si arruolò volontario alla scuola centrale militare di alpinismo (ora centro addestramento alpino) di Aosta, dove ebbe come istruttori il maestro di sci Gigi Panei, la guida alpina Renato Chabod e l'alpinista Giacomo Chiara. In seguito combatté come alpino nella divisione Tridentina e nel battaglione Vestone, al confine con la Francia al tempo dell'entrata in guerra dell'Italia nel 1940 al fianco della Germania. Successivamente, nell'ottobre dello medesimo anno, sul fronte greco-albanese. Infine fu inviato in Russia, una prima volta nel gennaio del 1942, una seconda nel luglio dello stesso anno. Venne fatto prigioniero dai tedeschi dopo la firma dell'armistizio di Cassibile (8 settembre 1943)e, rifiutandosi di aderire alla Repubblica sociale di Mussolini, fu deportato come IMI in un campo di concentramento a Hohenstein (oggi Olsztynek), in Prussia orientale. Dopo la liberazione del campo durante l'avanzata dell'Armata Rossa verso il centro della Germania, rientrò a casa a piedi attraversando le Alpi, dopo due anni di prigionia, il 5 maggio 1945. Campagna di Russia -- La sua particolare sensibilità lo ha contraddistinto anche durante la campagna di Russia ed a proposito di questa guerra dirà in seguito (cambiando drasticamente opinione rispetto al periodo in cui si arruolò volontario): « I russi erano dalla parte della ragione, e combattevano convinti di difendere la loro terra, la loro casa, le loro famiglie. I tedeschi d'altra parte erano convinti di combattere per il grande Reich. Noi non si combatteva né per Mussolini, né per il Re, si cercava di salvare la nostra vita. » E dice ancora :« Il momento culminante della mia vita non è stato quando ho vinto premi letterari, o quando ho scritto libri, ma quando la notte dal 15 al 16 sono partito da qui sul Don con 70 alpini e ho camminato verso occidente per arrivare a casa, e sono riuscito a sganciarmi dal mio caposaldo senza perdere un uomo, e riuscire a partire dalla prima linea organizzando lo sganciamento, quello è stato il capolavoro della mia vita. “ Dopoguerra e attività letteraria.
Finita la guerra Rigoni Stern ritorna ad Asiago, da dove non si allontanerà più e dove ha vissuto fino alla morte nella casa da lui stesso costruita. Nel 1946 si sposa con Anna dalla quale avrà tre figli. Viene assunto presso l'ufficio imposte del catasto del suo stesso comune e manterrà questo impiego fino al 1970, quando lo lascerà per ragioni di salute, soffrendo di problemi cardiaci. Da quel momento si dedicherà appieno all'attività di scrittore. Esordisce come tale nel 1953, con il libro autobiografico Il sergente nella neve, pubblicato da Einaudi, in cui racconta la sua esperienza di sergente degli alpini nella disastrosa ritirata di Russia durante la seconda guerra mondiale e, con quest'opera egli si colloca all'interno della corrente narrativa neorealista. Il libro viene pubblicato su indicazione di Elio Vittorini, conosciuto da Rigoni Stern nel 1951, che suggerì alcune piccole modifiche stilistiche. Il testo è ricco di ricordi, immagini, storie che presentano analogie di situazioni, temi e umanità con i libri scritti da Primo Levi e Nuto Revelli, aventi come soggetto gli anni di guerra e le storie degli uomini che vissero quel periodo. Sul finire degli anni sessanta scrive il soggetto e collabora alla sceneggiatura dei recuperanti, film per la televisione del 1970, girato da Ermanno Olmi sulle vicende delle genti di Asiago all'indomani della seconda guerra mondiale. Successivamente pubblica altri romanzi nella sua terra natale e ispirati a grande rispetto, amore per la natura e alla sua passione venatoria. Sono inoltre ben sottolineati nelle sue storie quei valori ritenuti importanti della vita. Sono questi i temi di Il bosco degli urogalli (1962) e Uomini, boschi e api (1980). Con le sue opere gli sono stati riconosciuti numerosi premi letterari nazionali, tra i quali il premio Bagutta, Campiello, Grinzane Cavour, Feltrinelli, Chiara, Flaiano. Nei suoi ulltimi anni di vita per la sua sensibilità verso il mondo della natura e della montagna l'11 maggio 1998 l'Università di Padova gli ha conferito la laurea honoris causa in scienze forestali e ambientali. Nel 1999 gira con Marco Paolini un film-dialogo diretto da Carlo Mazzacurati, Ritratti: . Nel film Rigoni Stern racconta la sua esperienza di vita, la guerra, il lager e il difficile ritorno a casa, ma anche il rapporto con la montagna e la natura. Il racconto come veicolo della memoria: per il Sergente è doloroso ma fondamentale per portare agli altri la propria esperienza. L’ Associazioni ambientaliste e della montagna nel 2003 lo candidano senatore a vita, ma lo scrittore vicentino dalla sua residenza di Asiago fa sapere:« Non abbandonerò mai il mio paese, le mie montagne per uno scranno in Parlamento. Non è il mio posto »Nel 2005 gli è stata conferita la cittadinanza onoraria di Montebelluna ed il Il 14 marzo 2007 l'Università degli studi di Genova gli ha conferito la laurea honoris causa in scienze politiche.
Nel 2007 gli è stata conferita la cittadinanza onoraria di Firenze oltre ad altri vari premi per i suoi romanzi, quali nel 1997 il premio Feltrinelli e nel 2003 il premio Chiara alla carriera. Nel novembre 2007 riceve la commenda di accademico di Francia per la cultura e l'arte. Nel novembre del 2007 gli viene diagnosticato un tumore al cervello; prima di morire si fa accompagnare dai figli sui luoghi a lui più cari dell'Altopiano: a Vezzena e a Marcesina in particolare. Durante la malattia chiede di non essere ricoverato in ospedale ed è assecondato, muore il 16 giugno 2008. Per la sua volontà la notizia della morte verrà data solo a funerali celebrati.
Domenco Bianchi , Lions DO // ascritto Rosmini 10 02 2018
Se interessati, potrete trovare parecchi suoi scritti nelle librerie.
ISMAIL KADARE
Ismail Kadare nato il 28 01 36 a Argirocastro , città dell'Albania meridionale, dove trascorse l'infanzia e terminò la scuola superiore è uno scrittore, poeta, saggista e sceneggiatore albanese. In seguito si laureò nella Facoltà della Storia e Filologia presso l'Università di Tirana. Studiò per due anni letteratura mondiale all'Istituto Gor'kij a Mosca, ma fu costretto ad abbandonare questo studio a causa del rapporto diplomatico complicato con l'Unione Sovietica. Tornato in patria, iniziò la sua carriera come giornalista in una rivista nota nel paese come Drita ("Luce"); in breve tempo divenne noto e passò alla direzione della rivista Les letres albanaises. Inizialmente si dedicò alla poesia, passione che aveva avuto da liceale, pubblicando varie raccolte aventi successo. Nel 1963 scrisse il primo romanzo, “Il generale dell'armata morta, “ il quale non solo risultò la sua opera principale, ma gli diede una spinta per occuparsi soprattutto di questo genere letterario. Negli anni settanta formò un trio con altri poeti albanesi, che elevaron in alto la poesia nel paese, ma limitatamente alla madre patria. Nel 1990 per esprimere pubblicamente a livello internazionale la propria disapprovazione nei confronti dell'immobilità della dirigenza comunista albanese, ha chiesto e ottenuto asilo politico in Francia, dove è noto anche come Ismail Kadaré. Trascorre la sua vita divisa tra Tirana e Parigi. La sua opera letteraria è molto varia, ma i contributi maggiori sono nel campo della poesia e del romanzo. Nel 1993 vince il Premio Mediterraneo per stranieri con La Pyramide . Dal 1996 è membro associato a vita dell'Académie des sciences morales et politiques, dove ha preso il posto che era stato di Karl Popper . Nel 1998 vinse il Premio Herder. Nel 2005 gli fu riconosciuta la prima edizione del Internationalen Booker Prize , mentre nel 2009 vince il premio Principe delle Asturie per la letteratura. Nello stesso anno gli è stata conferita la Laurea Honoris Causa in Scienze della Comunicazione Sociale e Istituzionale dall'Università di Palermo, voluto fortemente dagli albanesi di Sicilia (arbëreshët e Siçilisë). È stato più volte candidato alla selezione finale per il Premio Nobel, ed è membro d'onore all'Accademia Francese. Kadare è considerato uno dei più grandi scrittori e intellettuali europei del XX secolo e, inoltre, come una voce universale contro il totalitarismo. Le condizioni in cui Kadare visse e pubblicò le sue opere non erano paragonabili ad altri paesi comunisti europei dove almeno un certo livello di dissenso pubblico era tollerato, piuttosto, la situazione in Albania era paragonabile alla Corea del Nord o a quella dell’Unione Sovietica nel Anni '30 sotto Stalin. Nonostante tutto ciò, Kadare ha usato ogni occasione per attaccare il regime nelle sue opere, per mezzo di allegorie politiche. DICE : sfuggire a Dante è impossibile, come sfuggire alla propria coscienza. Tra le tre penisole del sud Europa, quella iberica, quella italiana e i Balcani, i più sfortunati sono stati proprio i Balcani perché, pur facendo parte dell’Europa, per cinque secoli ne sono stati staccati per poi riunirsi a lei come un figlio sconosciuto che torna dalla propria madre. Secondo me tutto ciò ha creato questa anomalia che ci fa vergognare tutti. Un giorno questo odio scomparirà dai Balcani. E’ ineluttabile. La civiltà europea è caduta proprio lì dove era iniziata .Se il Partito comunista avesse iniziato un vero processo di democratizzazione, in particolare l’avvicinamento all’Europa Occidentale, sarebbe sicuramente stato sostenuto dai cittadini albanesi. Invece ha usato inganni per prolungare il suo potere di una decina d’anni. Il popolo Albanese non poteva più aspettare. Se fossero stati sinceri, avvicinandosi all’Occidente, accogliendo la tanto menzionata “opportunità tedesca” sarebbe stato diverso, ma hanno rovinato tutto con le loro mani. Anche oggi continuano a negare questa verità, dicendo che i tedeschi non promisero niente, ma non è vero perché sono stato testimone di questo problema e lo conosco assai bene . Premio Nonino, vincono lo scrittore Kadaré, il filosofo Agamben e i baristi di P(our).Sono all'insegna della tradizione i premi Nonino 2018. La giuria, che spesso ha “indovinato” futuri Nobel e perseguito linee e tendenze culturali molto prima che diventassero “mainstream”, quest'anno sembra essere andata sul sicuro, premiando, del resto, due mostri sacri della cultura contemporanea. E forse se non dovesse arrivare il Nobel, il Nonino non è assolutamente un premio da meno.
Citazioni di Ismail Kadare: Alcuni pensano che sarebbe un lusso essere europei. Ma per l’Albania entrare in Europa è questione di vita o di morte. Per l’Albania e per tutti i Paesi balcanici. Si salverà il primo che riuscirà a capirlo. Ci fu un periodo d’indifferenza da parte dell’Occidente verso l’Albania, ma per colpa di quest’ultima. Dopo la morte di Enver Hoxha, l’Occidente ha fatto un tentativo tramite la Germania, che però fallì per colpa degli albanesi . Gli albanesi hanno dimostrato di non volere più la dittatura. Ciò che era necessario per rovesciare un regime del genere, capace di usare le armi e il crimine, poteva portare a violenze simili o peggiori di quelle rumene in quanto in Albania era più difficile cancellare le atrocità commesse dal regime. Poteva succedere così o l’esatto contrario: un distacco drastico con il vecchio regime senza violenza che poteva essere forse più efficace, ma 20 anni fa nessuno poteva prevedere l’alternativa migliore. Credo che un’opinione generale si era creata e si sono evitati spargimenti di sangue. Gli albanesi prima di sposarsi non chiedono la fede religiosa del coniuge, ma la domandano solo dopo il matrimonio. Il pensiero degli albanesi verso l’Italia è un pensiero molto intimo. L'Italia è un nostro vicino, da più di mille anni è collegata con l’Albania. Io ho da tempo manifestato una certa scontentezza per l'atteggiamento dell'Italia verso l'Albania, non ha avuto una risposta adeguata. Sono due paesi uno di fronte all'altro. Hanno collaborato 100 volte, con principi e con eserciti. Alla fine è successo che gli italiani sono sbarcati in Albania. Per gli italiani era una “unione”, una parte degli albanesi l’ha considerata "occupazione", anche se non mancavano albanesi che la pensavano come gli italiani. In letteratura la libertà ha un altro significato, è libertà interiore non libertà sociale. Se non hai la libertà interiore quella sociale non vale niente. Io penso che l’Italia avrebbe dovuto essere più attenta verso l'Albania. Doveva aiutarla. Come ha fatto la Francia con l'Algeria, da sempre molto sensibile verso la sua ex colonia, nonostante fosse lontana, in un altro continente e di religione musulmana. Noi abbiamo un'importante comunità albanese in Italia, il Paese con noi si è comportato molto bene. Ma durante il comunismo l’Italia sapeva cosa stava accadendo in Albania, avrebbe dovuto interessarsi molto di più. L’Italia si interessa a Paesi molto lontani come Madagascar, Angola e altri, ma non all’Albania. Io a volte vedo dei documentari italiani sulla Seconda guerra mondiale e in alcuni viene dedicato non più di trenta secondi all’occupazione italiana dell’Albania nel 1939 operata da Mussolini. L’Albania è il paese ex comunista dove Dante Alighieri è più studiato. Addirittura Dante Alighieri è più studiato in Albania che in Francia. Questo amore che non cambia per la politica o per un’occupazione è una grande cosa. L’opera completa di Dante Alighieri è stata tradotta tre volte durante il comunismo in Albania. Dante è uno scrittore che ha messo in difficoltà il comunismo. L’Inferno di Dante veniva paragonato ai gulag comunisti e ciò lo rendeva poco gradito ai regimi comunisti, perché l’essenza della sua opera era la punizione del crimine: chi commette il crimine deve pagare. Per questo il comunismo non lo amava. Nonostante questo è stato tradotto in Albania. La maggior parte dei regimi del mondo è stata, se non proprio dittatoriale, almeno molto dura. La letteratura si è abituata a questo. La letteratura autentica e le dittature sono incompatibili, lo scrittore è nemico naturale delle dittature. Lo scrittore non è un essere democratico, lo scrittore è un essere solitario, lavora con la propria testa. Ciò va bene per la letteratura, ma non per la democrazia, io per lo meno la penso così . Papa Wojtila era molto vicino all’Albania e a tutti i Balcani per due motivi: in primis perché portava un'aspirazione europea nei Balcani in un universo in cui l’aspirazione europea era vista come nemica. Inoltre portava allo stesso tempo una dissidenza interna al comunismo. Lui comprendeva benissimo i Paesi ex comunisti, questo all’epoca aveva una grande importanza. Papa Wojtila è profondamente nella nostra memoria. Per far fronte alle pressioni, sia interne che esterne, lo stato albanese prometteva ogni cosa senza cercare effettive soluzioni, ingannava i cittadini continuamente, ma in realtà nessuno aveva intenzione di fare qualcosa e lo dico in piena consapevolezza. Dalla corrispondenza avuta con il Capo di Stato di quel periodo, Ramiz Alia, ho saputo che erano tutte fandonie, niente di vero, per questo ho sentito il dovere di trovare una maniera per farlo sapere al popolo albanese e al mondo. Come ben sapete in Albania questo non poteva succedere, non c’era la minima libertà di stampa. La dovevano smettere con le allusioni e i doppi sensi, si doveva parlare apertamente al popolo e dirgli la verità. Era tempo di far decidere il popolo, per questo ho ritenuto indispensabile allontanarmi in ogni modo dall’Albania.
Vladimir Putin : purtroppo il popolo russo tollera tali leader, perché risvegliano illusioni. Bisogna cercare di capire la Russia: è stata un grande Paese e vuole tornare al grande prestigio del passato. Come mai la Russia vuole riguadagnare il suo antico prestigio? E’ così prezioso?
Che senso avrebbe per un paese grande tre volte l’Europa ritornare all’antico prestigio? E’ una sfortuna ‘geografica’. L’umanità deve trovare un modo per evitarlo, è una sublimazione per un paese che è 300 volte più grande di un altro paese.
Miei cari amici Lions occorre che ben leggiate quanto dice di noi italiani questo grande poeta che sono certo prenderà anche il Nobel per la letteratura. Se lo merita !! Potete vedere quanto in altri paesi sia conosciuto il nostro Grandissimo Dante e non possiamo accettare che prima o dopo verrà tolto dagli studi liceali , come dice la scrittrice Ferrante sulla quale vi ho da poco inviato un mio scritto e sarà riservato solo agli studi classici. Ho letto da poco su un quotidiano che questa valorosa e italianissima scrittrice è disposta a ritornare all’insegnamento poiché è certa che la quasi totale mancanza di conoscenza della nostra lingua da parte di alcuni scrittori non giovi alla nostra Italia !!
La poetessa indiana/ americana Emily Pauline Jhonson
Emily Pauline Johnson nacque il 10 marzo 1861 e morì il 7 marzo 1913 ed è stata una scrittrice ed interprete canadese nota nel secolo scorso come E. Pauline Johnson Si è contraddistinta grazie alle sue poesie e spettacoli, i quali erano celebrativi della sua appartenenza alle First Nations anche se lei parlava comunque inglese. Uno dei suoi più noti componimenti è The Song My Paddle Sings. Le sue opere poetiche vennero pubblicate in Canada, negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Essa fa parte di una generazione di scrittori alquanto noti che iniziarono a confermare, definendolo, lo stile della letteratura canadese. La scrittrice è nata a Chiefswood, nella casa costruita da suo padre George Henry Martin Johnson nel 1856 nella riserva indiana delle Sei Nazioni, poco distante da Brantford, in Ontario. George Henry Martin Johnson (1816-1884), era un capo indiano della tribù dei Mohawk, e con la madre, Emily Susanna Howells Johnson (1824-1898), inglese di nascita, furono i genitori di quattro bambini, dei quali Pauline era la più giovane. La madre di Pauline era immigrata negli Stati Uniti nel 1832 con suo padre, la sua matrigna e i suoi fratelli. Contrariamente a quello che pensavano George e Emily Susanna (che cioè la loro famiglia dalle razze miste, indiana e inglese, non sarebbe stata ben accolta socialmente), la famiglia Johnson godette di un range di vita abbastanza alto. La casa dei Johnson, Chiefswood, fu visitata da persone note come Alexander Graham Bell, Homer Watson e Lord Dufferin, il Governatore canadese all'epoca. Diceva la nostra scrittrice “Io sono Indiana, e il mio scopo, la mia gioia e il mio orgoglio è cantare le glorie del mio popolo. La nostra stirpe diede al mondo un grande esempio di eroismo, dicendo a tutti che l’avidità, anche se mascherata con altri nomi, è un crimine, e che la fede ci insegna a morire senza paura.” Il padre, George Henry Martin Johnson (Capo Teyonnhehkewea, un Mohawk) , e il nonno paterno, John "Smoke" Johnson (Sakayengwaraton), ebbero una grande influenza sulla sua vita. Il nonno era un eroe della guerra del 1812 e un rinomato oratore nei consigli irochesi. Ella venne dapprima educata in casa dalla madre che stimolò il suo amore per la letteratura leggendole Ie opere dei poeti romantici inglesi. All’età di quattordici anni Pauline entrò al Brantford Collegiate Institute, dove rimase fino al 1877. Sebbene i suoi genitori osteggiassero il suo desiderio di diventare un’attrice, Pauline era appassionata di rappresentazioni con ricostruzione storica. Nei due anni che seguirono il suo ritorno a Chiefswood si dedicò a scrivere poesie.
La sua infanzia non fu sempre felice, a causa degli svariati tentativi del padre per estirpare il traffico illegale di alcool e di legname nella riserva. Nel 1865 fu più volte picchiato, nel 1863 fu bastonato e ferito da proiettili, e nel 1878 subì altri assalti. Questi attacchi cessarono soltanto con la sua morte nel 1884. La famiglia abbandonò Chiefswood per stabilirsi nei pressi di Brantford. Dopo la morte del nonno, avvenuta nel 1886, Pauline assunse il nome indiano del suo bisnonno, firmando le sue opere "E. Pauline Johnson" e "Tekahionwake."Pauline Johnson ed è generalmente conosciuta come “la poetessa indiana”, sebbene ci siano alcune controversie sullo stile delle sue opere.
Cari amici Lions Vi consiglio di leggere la leggenda seguente perché la cosidero assai bella per lo stile e per il contenuto.
"La leggenda dei sette cigni bianchi" rivisitazione di una leggenda Chinook. Avete mai sentito di una madre che non ami il proprio bambino menomato almeno quanto gli altri suoi figli? E’ sempre stato così, madri bianche e madri indiane sono unite in questo. Questa bimba era menomata, ed imparò a camminare con quel suo debole piede trascinandosi un po’ a fianco agli altri; non era brutta, non aveva deformità, soltanto quel piede trascinato. Ma sua madre la amava con quel magnifico amore protettivo che una donna può dare alla sua fragile creatura. La chiamava “Be-be”, il termine Chinook usato per coccolare un piccino, e la bimba visse la sua infanzia e l’adolescenza, fino a diventare una donna, circondata dalle cure di sua madre. Il suo viso era bellissimo, la sua anima ancora più bella se possibile, c’era soltanto quel piede trascinato tra lei e la perfezione di una giovane vergine. Molti guerrieri la volevano in sposa, ella era gentile, buona, adorabile; le sue dita erano agili e veloci a tessere coperte e confezionare cesti, e amava i bambini come sua madre aveva fatto prima di lei. Un giorno giunse un giovane e robusto cacciatore che camminava velocemente, aveva occhi profondi e intenzioni precise. Le sue frecce non avevano mai mancato il bersaglio, e la sua casa era piena delle calde e soffici pelli delle sue prede, che giacevano silenziose a testimoniare la sua abilità. “Sarò forte per tutti e due” egli disse quando lei promise di essere sua moglie, ma Be-be abbassò il suo sguardo al suo debole piede e un’ombra velò il suo viso. “Ma io non potrò mai correrti incontro mentre tu tornerai dalla foresta con il cervo sulle spalle, o il castoro sul braccio” si rammaricò lei. “Non potrò mai danzare per te alle grandi Potlatch come fanno le altre ragazze. Dovrò sedermi con le donne anziane…da sola.” “Tu non sarai mai vecchia nè brutta” la rassicurò lui. “Il tuo viso, e la tua anima, e il tuo cuore sorridente…saranno sempre giovani. Io danzerò per tutti e due. Verrai con me?” ed ella gli credette, andò con lui senza più tornare nella casa di suo padre. Gli anni passavano, e Be-be diede al marito cacciatore sei bellissimi bambini, e nessuno di essi aveva la sua malformazione, ma nemmeno lo splendido volto della loro amorevole madre. Quel volto somigliava a un fiore quando lei si sedeva tra le vecchie alle grandi Potlatch, mentre le fanciulle e i giovani uomini danzavano e cantavano, e poi danzavano ancora. Nessuno seppe mai quanto ella desiderasse raggiungerli, ma nessuna sofferenza turbò mai il suo giovane cuore fino all’arrivo della cugina di suo marito, una donna alta, snella, che danzava come l’immagine del sole riflessa nelle acque blu del Pacifico. Uno strano bagliore si sprigionò dagli occhi del cacciatore quando egli la guardò ondeggiare come i rami degli abeti sferzati dalla tempesta; guardò i suoi agili piedi, i suoi rapidi e leggeri passi, la sua splendida energia. Per ore e ore la cugina danzò senza fatica, e per ore e ore lui la guardò. Quando ella si fermò i giovani guerrieri insieme al marito-cacciatore di Be-be si radunarono intorno a lei donandole collane di conchiglie e pronunciando parole di fuoco. Be-be rivolse il suo sguardo al piede offeso, e il sorriso scomparve dai suoi occhi. Nella sua casa, con i suoi sei piccini, lei aspettò per molti giorni, molte settimane, ma il marito-cacciatore era fuggito con una donna che non aveva malformazioni, e che non doveva sedere tra le vecchie durante le feste. Molti giovani guerrieri chiesero Be-be in moglie. “Egli non tornerà” le dicevano. Ma lei sorrideva e scuoteva il capo, e tornava dai suoi bambini a braccia aperte.I compagni di gioventù invecchiavano e si coprivano di rughe, la gente della sua tribù si indeboliva e perdeva vigore con gli anni, ma il volto di Be-be era sempre giovane e meraviglioso come quando lei incontrò per la prima volta e amò il forte cacciatore che l’aveva abbandonata molte lune fa. E in un luogo molto lontano, nella sua casa, lo stesso cacciatore invecchiava e diventava debole, il suo proposito non era più così sicuro, i suoi occhi non erano più così appassionati, al fianco della cugina che un tempo aveva un passo elegante, danzava così gioiosamente, era così forte, dritta e agile, ma che con gli anni aveva visto i suoi stessi piedi appesantirsi, il suo viso invecchiare, le sue spalle piegarsi e le sue mani irrigidirsi. Vecchia e brutta, ella si rannicchiava sotto la sua coperta perchè il suo sangue scorreva lentamente nelle sue vene. Non danzava più. E durante tutto questo tempo Be-be sedette alle grandi Potlatch, il suo volto come un fiore tra i brulli e desolati rami degli spogli alberi in inverno. Un giorno egli tornò, tornò a guardare la sua bellezza, ad ascoltare le sue risate e ad imparare che il vero amore può mantenere una donna giovane e affascinante per sempre.
Con un grido egli si inchinò di fronte a lei, e benchè fosse vecchio, curvo e brutto ella gli tese le sue braccia. Ma Saghalie Tyee parlò dal cielo, e la Sua parola è legge per tutte le razze, per tutta la gente. “Cacciatore! Tu non puoi averla di nuovo!” disse la voce. “La falsità non va d’accordo con la verità. Io metterò lei e i suoi bambini dove la loro gioventù, la loro bellezza, i loro sorrisi derideranno per sempre il tuo ingrato e deforme cuore. Essi non diventeranno mai vecchi e brutti, e lei col suo piede trascinato diventerà la creatura più leggiadra che io Saghalie Tyee abbia mai creato. Guarda il cielo al mattino, cacciatore dalla doppia faccia, dal doppio cuore, e alle prime luci dell’alba potrai vedere la bellezza, la grazia, il sorriso, la giovinezza, la fedeltà, l’amore, la verità. Hai rinunciato a queste sette splendide cose mettendole da parte.” Al mattino, nel cielo dorato dell’aurora, comparve un gruppo di sette cigni bianchi come perle. Per un breve attimo si soffermarono sul vecchio cacciatore, quindi diressero la loro rotta verso sud. Egli guardò il loro volo aggraziato in una tormentata solitudine; scorse la casa di Be-be… era vuota. Ancora una volta i suoi stanchi occhi guardarono lontano, e videro i sette bellissimi uccelli le cui ali parevano vele di seta, e le loro zampe una macchia arancione nel blu del cielo. Egli chinò il suo capo, perché sapeva che quelle splendide zampe erano la glorificazione del difetto della sua Be-be. Nella tradizione Chinook avere la fortuna di vedere sette cigni bianchi in cielo significa possedere un vero tesoro.Articolo pubblicato da Pauline Johnson sul Daily Province Magazine nel 1910.
La breve vita straboccante di vitalità dello scrittore rumeno Max Blecher
Cari amici Lions quando leggerete la vita di questo giovane letterato, che apparve ignorato dai più solo perché colpito da una di quelle malattie che non lasciano scampo e che, dopo averti distrutto le vertebre, ti costringono a rimanere sdraiato dandoti delle incredibili sofferenze ,Vi chiederete se veramente l’uomo le possa sopportare. Io , da cattolico credente, penso che solo i Santi nella certezza dell’esistenza di Dio e del Suo aiuto riescano a superare alcuni periodi tanto dolorosi della loro vita mortale sostenuti dal pensiero che Gesù Cristo li porterà subito in cielo così come fece col “Buon Ladrone “. Se l’uomo saprà attendere questo momento senza paura e con la massima tranquillità, potrà pure dedicarsi alla letteratura così come fece il nostro poeta. Dovrà dettare i suoi pensieri ad una persona di gran buona volontà che li trasformerà in scrittura rimanendo al di fuori di quella ipotetica bara in cui è stato collocato e dove del suo corpo mortale funziona solo e unicamente il suo grande intelletto. Lo scrittore Max Blecker nacque il giorno 08 settembre 1909 a Botosani in Romania e morì a 29 anni dopo 10 anni di sofferenza per quella terribile malattia di cui sopra e che gli permise di abbandonare questo mondo solamene dopo dieci anni da quando lo teneva rinchiuso . La sua breve vita di scrittore fu comunque, per noi lettori , di una intensità strabordante e sconvolgente. Questo suo stato è dovuto certamente alla magia della parola ; quella magia che , nella sua immaterialità extra fisica è accanto a tutti i grandi poeti e non li lascia mai soli. Il giovane Max frequentò le scuole medie e quelle superiori iscrivendosi all’università di medicina sempre attratto dallo studio e dal desiderio di conoscere quanto l’uomo ancora non conosceva; fu invece al contrario la medicina a studiare lui, dopo la prima visita medica. Il suo passaggio in tre sanatori furono le prime tre stazioni della sua “via crucis” della durata di dieci anni. Riuscì comunque a scrivere degli articoli e delle novelle ed avere rapporti epistolari con Gide, Breton,Heidegger e con Ilaire Volonka, poeta romeno naturalizzato francese e con lo scrittore drammaturgo romeno Mihail Sebastian e con altri intellettuali. Scrisse anche delle poesie raccolte nel libro in “corp trasparent “ e un libro “Accadimenti nella realtà immediata “. Questo libro tradotto da Bruno Mazzone fu il primo pubblicato in Italia nel 2012. A giorni uscirà ancora un libro “ cuori cicatrizzati “ sempre per merito di Bruno Mazzoni che penso sia un medico per il desiderio di conoscere questa malattia trascurata anche dalla letteratura dal 1929 ad oggi. Quasi al termine della sua vita il nostro Marx, consapevole del proprio destino registra con precisione ,nell’arco di un anno, il tragitto che lo riporta dalla malattia all’amore , all’amicizia ed a brevi itinerari, in una fuga momentanea dai luoghi di cura ed inoltre stila, come un monaco benedettino, la cronaca di una abbazia dimenticata da Dio, sempre in compagnia della magia della parola, che non abbandona mai i grandi scrittori.
Il poeta, scrittore,drammaturgo ed altro; l’italiano Guido Ceronetti
Cari amici Lions è per me un vero piacere raccontarvi qualcosa di relativo nei confronti di un uomo dal cervello così grande…ma……. leggete il mio scritto e poi sappiatemi comunicare il Vostro pensiero. Guido Ceronetti nacque a Torino il 24 agosto 1927 ed è un poeta, filosofo, scrittore, traduttore, giornalista e drammaturgo italiano. Uomo di vasta erudizione e di sensibilità umanistica, cominciò a collaborare nel 1945 con vari giornali; la sua presenza sul quotidiano La Stampa ebbe inizio nel 1972. Di rilievo la sua attività di traduttore, sia dal latino (Marziale, Catullo, Giovenale), sia dall'antico ebraico (Salmi, Qohèlet, Cantico dei Cantici, Libro di Giobbe e Libro di Isaia), nonché il suo interesse divulgativo per testi orientali. Nel 1970 diede vita al Teatro dei Sensibili allestendo insieme alla moglie Erica Tedeschi spettacoli di marionette. "Le sue marionette esordivano su un piccolo palcoscenico, nel tinello di casa Ceronetti, ad Albano Laziale. Si consumavano tè, biscottini (i crumiri di Casale) e mele cotte." Nel corso degli anni vi assistettero personalità quali Eugenio Montale, Guido Piovene, Natalia Ginzburg, Luis Buñuel, Federico Fellini. A partire dal 1985, con la rappresentazione de La iena di San Giorgio, il Teatro dei Sensibili è diventato pubblico e itinerante. Nel 1981 Ceronetti introdusse in Italia E.M. Cioran, definendo lo scrittore rumeno-francese "squartatore misericordioso"; a sua volta Cioran dedicò a Ceronetti uno dei suoi Esercizi di ammirazione . Nel 1994 è stato aperto, nell'Archivio Prezzolini della Biblioteca cantonale di Lugano, il fondo Guido Ceronetti, da lui scherzosamente definito "il fondo senza fondo". Esso raccoglie infatti un materiale ricchissimo e vario: opere edite e inedite, manoscritti, quaderni di poesie e traduzioni, lettere, appunti su svariate discipline, soggetti cinematografici e radiofonici. Vi si trovano, inoltre, numerosi disegni di artisti (anche per il Teatro dei Sensibili), opere grafiche dello stesso Ceronetti, collage e cartoline. Con queste ultime fu allestita, nel 2000, la mostra intitolata Dalla buca del tempo: la cartolina racconta.
Dal 2009 è beneficiario della legge Bacchelli: in quanto cittadino che ha «illustrato la Patria» e «versante in condizioni di necessità economica» gli viene attribuito un vitalizio di 18.000 euro annui. E’ noto anche per essere un acceso sostenitore del vegetarismo e per una pratica di vita estremamente marginale, quasi da moderno anacoreta. Dagli anni '90 alcuni suoi articoli sull'immigrazione e il Meridione, pubblicati sul quotidiano La Stampa, sono stati tacciati di razzismo da diversi intellettuali italiani. Notevoli discussioni suscitò, altresì, un suo intervento, sempre su La Stampa, a difesa del capitano delle SS Erich Priebke, condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine. Nel 2012 è stato insignito del premio "Inquieto dell'anno" con una cerimonia avvenuta il 2 giugno 2013 nell'auditorium di santa Caterina a Finale Ligure.Nel 2014 è intervenuto al congresso dei Radicali Italiani. Ha fatto uso di vari pseudonimi, tra i quali Mehmet Gayuk, Il Filosofo ignoto, Ugone di Certois'anagramma di Guido Ceronetti) e Geremia Cassandri .
Famosi i suoi epigrammi : eccone alcuni *L'allevamento industriale, col suo commercio mondiale, è una planetaria camera di tortura:
*Ma un uomo al telefono è ancora un uomo?
*Mi sono innamorato di loro per estendere l'amore. Mia moglie ed io avevamo deciso di perfezionare il nostro matrimonio mettendo al mondo delle marionette.
*Per molti anni, non sono uscito di casa senza aver prima verificato se c'era, nelle mie tasche interne, come una chiave o una medicina d'urgenza, una mia minima edizione dell'adorabile ……
Lo scrittore israeliano Aharon Appelfeld è nato a Zadova il 16 febbraio 1932 ed è morto a Israele 04 gennaio 2018 . E’ stato uno scrittore israeliano, nato in Bucovina del Nord, allora in Romania. Sopravvissuto all'Olocausto in cui perse la madre e i nonni, riuscì a fuggire da un campo di sterminio nazista in Transnistria (territorio allora sotto il controllo della Romania) e si unì all'Armata Rossa dove prestò servizio come cuoco. Nel 1946 emigrò in Palestina, a quel tempo sotto mandato britannico. Laureatosi all'Università di Gerusalemme in letteratura, ha poi insegnato all'Università Ben Gurion del Negev nonostante abbia appreso l'ebraico tardi nella sua vita. Appelfeld è diventato uno dei più importanti scrittori israeliani e, nei suoi numerosi romanzi, affronta esclusivamente, in modo diretto o indiretto, il tema della Shoah e dell'Europa prima e durante la seconda guerra mondiale. Per le sue opere ha ricevuto numerosi premi tra i quali il Premio Israele, il Premio Mèdicis in Francia e il Premio Napoli in Italia. Ebbe una infanzia assai difficile e complicata, tormentata, tra l'Olocausto e la "scuola dei criminali", come la chiama lui; proveniva da una famiglia ebraica assimilata, di lingua tedesca, di classe medio alta. Il nazismo gli uccise la madre e lo divise dal padre ed aveva solo 9 anni quando, in autunno, riuscì a fuggire nei boschi dove sopravvisse mangiando quel che gli offriva la natura. Nonostante sapesse che i suoi genitori non potevano tornare, si chiedeva dove fossero e si diceva che, prima o poi, sarebbero tornati, in quanto non potevano lasciarlo lì, solo, dato che lo amavano. Appelfeld parlava abbastanza bene l'ucraino, era biondo e con gli occhi blu, ma nessuno voleva adottare bambini di dubbia origine e pertanto fu adottato da dei criminali che lui definisce: "La mia seconda scuola" e stette con loro due anni. Questi erano persone terribili, ma in determinati momenti erano generosi. Appelfeld spiega che questa fu un'esperienza da cui apprese molto. Dai suoi veri genitori Aharon aveva imparato ad essere una persona tranquilla, ma nel periodo vissuto con i criminali aveva acquisito gli strumenti per capire gli esseri umani. Ovviamente questi criminali lo picchiavano, ma Appelfeld ripensandoli prova comunque calore nei loro confronti. "Non tutti i criminali sono veri criminali". Appelfeld dovette custodire il segreto di essere ebreo e di essere circonciso per non essere ucciso e spiega ancora che questa fu un'esperienza da cui apprese molto ancora "Lì ho imparato la generosità, l'odio, la brutalità, tutti i sensi dell'essere umano". Al termine della guerra si ritrovò sulla spiaggia di Napoli dove vi era un mare di profughi; era finito il nazismo , il campo di sterminio, i boschi, e "la scuola dei criminali". Vi erano persone senza un volto e senza un fine". Rimase in Italia per tre mesi: "La mia prima terra promessa". Partì quindi per Israele quando aveva solo 14 anni. Lì iniziò a lavorare in un kibbutz e iniziò a imparare l'ebraico. Cominciò allora, nelle ore in cui non lavorava, a studiare la Torah, che lo affascinò subito. Vi si potevano leggere una gran quantità di fatti in uno stile minimalista, trasmissione del divino. Nella Torah Appelfeld trovò una capacità di cui non si può fare a meno nella vita: il pensare e il sentire quello che si fa. La Torah fu, per lui, un veicolo per avere un concetto del mondo e diventare un ebreo. Imparò dunque cosa significa essere ebreo, che tipo di obblighi comporta e questa fu per lui una grande gioia perché "senza significato la vita è una disperazione". "Chi ha vissuto l'olocausto finisce per diventare cinico, egocentrico". Egli si era reso conto del pericolo che correva e tramite la Torah si batté contro questo pericolo. La scrittura restituì ad Appelfeld i propri nonni, il silenzio della loro casa, i suoi genitori. Grazie alla scrittura sentì di avere una famiglia e questo gli ridiede la fiducia nella vita. Nello scrivere Appelfeld ritrova i dettagli e dunque l'autenticità. "La regola degli scrittori dev'essere: la buona arte deve avere una importanza universale" (come la Torah che parla di una tribù particolare, ma che è universale).Appelfeld considera come suoi maestri altri tre profughi stabilitisi in Israele come lui: Martin Buber, che gli diede le chiavi per capire la Torah, Gershom Scholem, che gli diede le chiavi per capire la Cabala, e Hugo Bergman da cui apprese il pensiero ebraico moderno. Essi provenivano da famiglie assimilate, non erano religiosi e avevano la volontà di diventare europei, ma avevano il senso della religiosità ebraica. Appelfeld pensa che la vita abbia un fine. Pensa che noi tutti abbiamo uno scopo e che quindi dobbiamo fare qualcosa. "Io ho la sensazione, quando scrivo, di scrivere per tutti e di fare qualcosa di significativo". Inizialmente autore di racconti e opere teatrali, ha conosciuto il successo coi suoi romanzi ed attualmente è lo scrittore israeliano più noto. Cominciò a pubblicare le sue prime opere subito dopo aver concluso il servizio di leva militare, e venne poi consacrato a essere punta di diamante del Nuovo Movimento degli scrittori . Si chiamava Abraham Yehoshua - e questo è il suo link per colloquiare con Lui se lo desiderate :https://it.wikipedia.org/wiki/Abraham_Yehoshua Inizialmente autore di racconti e opere teatrali, ha conosciuto il successo coi suoi romanzi ed attualmente è lo scrittore israeliano più noto. Cominciò a pubblicare le sue prime opere subito dopo aver concluso il servizio di leva militare, e venne poi consacrato a essere punta di diamante del Nuovo Movimento degli scrittori.
Lo scrittore Faruk Sehic poeta soldato
Cari amici Lions , con riferimento allo scrittore emarginato desidero farvi conoscere cl’intervista che a lui fece la giornalista Annarita Briganti nel 2017 in cui lo scrittore descrisse "Il mio fiume"e la sua esperienza di guerra nell'ex JugoslaviaDomanda e risposta A cosa servono i festival, in particolare quelli indie? A scoprire dei libri belli. È questo il caso del “Il mio fiume” ch è il debutto autobiografico di Faruk Sehic, tradotto dalla scrittrice e traduttrice italo bosniaca Elvira Mujcic. Fu il vincitore del Premio dell'Unione Europea per la Letteratura nel 2013 ed elogiato dal Guardian come grande esempio di letteratura di guerra. Questo romanzo racconta, dall'interno, la dissoluzione dell'ex Jugoslavia. C'è dapprima la vita tranquilla in un paesino sul fiume ed in seguito , nella parte occidentale della Bosnia, gli abitanti del luogo, compreso l'autore che si trasforma in combattente per difendere la propria patria. Domanda e risposta : Sehic, lei che ruolo aveva sul campo di battaglia?--"Quand'è scoppiata la guerra in Bosnia, nel 1992, ero solo un giovane uomo, stavo studiando Veterinaria a Zagabria. Prima della guerra vivevo in Jugoslavia, era la mia identità. Poi, all'improvviso, ho realizzato che la Jugoslavia non esisteva più, che dovevo difendermi dagli attacchi dei serbi, e sono diventato un soldato, arruolandomi nell'Esercito della Bosnia Erzegovina. Ho combattuto per quattro anni, raggiungendo anche il grado di ufficiale, guidando un'unità di un centinaio di persone. Ho partecipato a molte battaglie". Domanda e risposta: La Jugoslavia era davvero un posto "idilliaco", come lo descrive nel libro?--"La ricordo come una specie di età dell'oro. Potevi essere "puro". Avevamo una buona istruzione, una grande cultura, non dovevi neanche comprarti l'appartamento. Oggi il comunismo non esiste più. Non è popolare dichiararsi comunisti. Tutti vogliono essere nazionalisti o di destra, ma è un fenomeno globale, che riguarda tutto il mondo. Vivo a Sarajevo. Non sono ricco, ma me la cavo meglio di altri, posso pagare l'affitto. L'attuale Bosnia è dilaniata dalla crisi". Domanda e risposta : Qual è stato il momento peggiore e quello "migliore" di quegli anni---"Sono stato ferito gravemente a un piede e ho creduto di non farcela. Se mi avessero catturato gli avversari, mi avrebbero ucciso. Un commilitone mi prese sulle spalle e mi trasportò per pochi metri, passandomi poi ad altri soldati, come fanno i giocatori di football americano con il pallone, fino a raggiungere un luogo sicuro. Il momento più bello è stato quando io e la mia ragazza mangiavamo cioccolata e bevevamo cola, comprati al mercato nero. Eravamo un'isola felice, circondata da nemici". Domanda e risposta : Ha mai ucciso qualcuno?---"Non ne sono sicuro. Si combatteva faccia a faccia, tutto avveniva in pochi secondi, il tempo non esisteva. Vuoi solo sopravvivere e fai di tutto per riuscirci. La guerra non è un gioco, non hai tempo di pensare. Devi solo salvarti la pelle. Eravamo animali, agivamo in base agli istinti primari, ma, se uccidi qualcuno in battaglia, non commetti un crimine. Non ho nessun senso di colpa per quello che potrei aver fatto". Domanda e risposta: com'è cambiato dopo quelle esperienze?" Molti non ce l'hanno fatta. C'è un altissimo tasso di suicidi tra i veterani. È come se avessi una forza sovrumana, ma non sai più come sfogarla. La mia esperienza di guerra, superata la fase più dura, dei traumi, che anch'io ho subito, mi ha dato una carriera da scrittore. Quell'energia la metto in quello che scrivo, che si tratti dei miei versi, dei reportage politici che faccio per le testate alle quali collaboro o della prosa. Vedo le cose meglio degli altri e vedo cose che prima non vedevo". Domanda e risposta: crede ancora nella felicità nonostante quello che ha vissuto?---"Ho capito che la felicità è essere annoiati. Mi sveglio presto. Mi faccio un caffè con la moka. Leggo i giornali. Lavoro. Poi vado in centro per avere qualche conversazione reale, e non solo virtuale, sul web. Felicità sono i piccoli piaceri della vita, l'amore, il sesso, il buon cibo. Il segreto è non avere niente a che fare con i grandi eventi della Storia. Se non ne fai parte, sei felice". Vita di questo scrittore : Faruk Šehić, poeta, scrittore e giornalista bosniaco, è nato nel 1970 a Bihac e cresciuto a Bosanska Krupa. Ha studiato veterinaria a Zagabria fino allo scoppio della guerra in Bosnia nel 1992, quando ha fatto ritorno per arruolarsi nell'Esercito della Bosnia Erzegovina. Durante il conflitto è stato comandante di un'unità di guerra. E’ cresciuto a Bosanska Krupa, vive ora a Sarajevo. Nel 2017 esce il suo libro “Il mio fiume” che è un romanzo di guerra sui generis: più che l'azione, le bombe, la paura, il narratore (che ha combattuto nella guerra dei Balcani) racconta in un lungo flusso di prosa poetica le sue visioni del prima, della guerra, e del post-conflitto. Su tutto domina la natura; dice ... “Lo scrittore deve sputare in faccia alla Storia.” Dopo aver interrotto gli studi narra della guerra in Bosnia. Lui c'era. Fotografato, appare con la faccia dura, occhi liquidi, che purificano il dolore. Quanta morte hai visto, amico mio?, viene da chiedergli. La storia della letteratura occidentale comincia con la parola” menin,” che significa ira, con l’assedio alla città di Troia, con la guerra e con la morte. Proprio così, con impeto omerico, con sguardo epico e psichedelico (“La sera, quando cadono le Leonidi, nella pioggia di meteore si nascondono i profughi di ritorno alle loro case terrestri. Ha visto la morte e uccide ? forse ;Dice : “La guerra non è un balletto”, ripete, incessantemente, da Sarajevo, “l’unica città dove posso vivere”, ad ammirare quotidianamente la disgregazione della fu Jugoslavia. Nel 2011, viene onorato con l’European Union Prize for Literature e viene tradotto nel resto dell’Occidente. In Italia arriva quest’anno, come Il mio fiume, per l’editore Mimesis. Il mio fiume è un libro è mirabile, riduce gli esercizi romanzeschi italiani odierni, quasi tutti, a sociologia applicata al precariato, li retrodata, cioè, al nulla. Alla ferocia, esasperata (“Ho trasformato corpi vivi in ombre, anzi in ombre di farfalle notturne, cioè nulla. Io sono un poeta e un combattente e nell’anima un monaco sufi”); si assemblano passi lirici (che riguardano la Jugoslavia pre-bellica, con l’idillio della vita intorno al fiume Una, che scorre tra Croazia e Bosnia) e micidiali bordate all’ideologia capitalista (“Avviliti, camminerete per i centri commerciali con le spalle curve e i culi unti, bramando i corpi delle sirene affissi sui cartelloni olografici. Vogliono indurvi all’oblio. Vi devitalizzano… Ho detto addio alla depressione neoliberista. I miei demoni non abitano il mondo di oggi. Vi offriranno come modelli il progresso e il benessere di nazioni rigorosamente controllate e voi pagherete con l’oblio”). Insomma. Lo scrittore ha fegato, è bravo, intriso di poesia che fa male, fa quello che la letteratura ha sempre fatto. Dire la guerra, ragionare sulla morte, regnare sulla morte fino a quell’osso estremo, simile un’alba, che ci fa invocare gli immortali.
La scrittrice italiana Elena Ferrante nota per i suoi romanzi
La scrittrice italiana Elena Ferrante nacque a Napoli nel 1943 ed è cresciuta in questa città effettuando gli studi classici e cita tra i suoi autori preferiti Elsa Morante . È opinione diffusa che il suo nome sia uno pseudonimo, per quanto tale ipotesi non sia accreditata dalla scrittrice. Tra le ipotesi fatte sulla sua vera identità ci sono quelle di Anita Raja, traduttrice e saggista partenopea, moglie di Domenico Starnone, di Starnone stesso, di Goffredo Fofi, degli editori Sandro Ferri e Sandra Ozzola. Infine, vi è l'ipotesi del critico e romanziere Marco Santagata che ha tentato di svelare l'identità della Ferrante, dietro la quale, a suo parere, si celerebbe la storica normalista Marcella Marmo, docente all'Università di Napoli. Altre piste, invece, indicano Marcello Frixione come ipotesi possibile. Nell'ottobre 2016 l'ipotesi che la Ferrante sia Anita Raja si è rafforzata in seguito alla pubblicazione di un articolo (uscito sul Sole24ore e ripreso dalle principali testate internazionali) che desume l'attribuzione dalle transazioni finanziarie della casa editrice. Dal suo primo romanzo, L'amore molesto, edito nel 1992, vincitore del premio Procida Isola di Arturo-Elsa Morante e del premio Oplonti d'argento, nonché selezionato al Premio Strega e al premio Artemisia, è tratto l'omonimo film di Mario Martone, in concorso al 48º Festival di Cannes. Dal romanzo successivo, I giorni dell'abbandono, edito nel 2002 e finalista al Premio Viareggio, è stata realizzata la pellicola omonima di Roberto Faenza, in concorso alla 62ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Nel volume La frantumaglia, edito nel 2003, racconta la sua esperienza di scrittrice. Nel 2006 viene pubblicato il romanzo La figlia oscura, da cui nel 2007 la scrittrice ha tratto spunto per il racconto per bambini La spiaggia di notte. Nel 2011 è stato pubblicato il primo volume del ciclo L'amica geniale, seguito nel 2012 dal secondo volume, Storia del nuovo cognome, nel 2013 dal terzo, Storia di chi fugge e di chi resta e nel 2014 dal quarto e conclusivo Storia della bambina perduta. Nel 2012 le Edizioni e/o hanno riunito i primi tre romanzi della scrittrice (L'amore molesto, I giorni dell'abbandono, La figlia oscura), accomunati dal tema di un amore negativo, traumatico e destabilizzante, in un unico volume, Cronache del mal d'amore. Nel novembre 2014 è stata inserita in una lista dei cento pensatori più influenti dalla rivista Foreign Policy per la categoria chronicler[12]. Nell'aprile 2016 compare nella lista per la categoria “Artists” tra le 100 persone più influenti del 2016 secondo TIME. La tetralogia è stata pubblicata in audiolibro, con la lettura di Anna Bonaiuto, da Emons Audiolibri. La scelta dell'anonimato :Senza aver mai svelato la propria identità Elena Ferrante è una scrittrice apprezzata in Italia e all'estero (in particolare negli Stati Uniti, dove quattro suoi romanzi hanno trovato il favore del pubblico sotto la traduzione di Ann Goldstein, grazie alla casa editrice Europa Editions) e ha raccolto critiche positive. il linguista Michele Cortelazzo e la statistica Arjuna Tuzzi organizzano una comparazione fra 150 romanzi e 40 autori contemporanei, attraverso il metodo dell'analisi quantitativa, di elementi lessicali ricorrenti.
Lo scopo è indagare su chi si nasconde dietro lo pseudonimo. L'incontro fra i vari partecipanti all'indagine si tiene il 7 settembre 2017 all'università degli studi di Padova nel workshop "Drawing Elena Ferrante's profile" per discutere i risultati della ricerca. La frantumaglia è un volume nato per soddisfare la curiosità del pubblico nei confronti dell'anonima scrittrice, in esso sono raccolte le lettere dell'autrice al suo editore, le poche interviste da lei concesse e le sue corrispondenze con lettori d'eccezione. Sua funzione principale è far comprendere al lettore i motivi che spingono l'autrice a rimanere nell'oscurità. La scrittrice stessa parla di un desiderio di autoconservazione del proprio privato, un desiderio di mantenere una certa distanza e non prestarsi alla spinta che alcuni scrittori hanno di mentire per apparire come ritengono che il pubblico si aspetti. Ferrante è convinta che i suoi libri non necessitino di una sua foto in copertina né di presentazioni promozionali: devono essere percepiti come “organismi autosufficienti”, a cui la presenza dell'autrice non potrebbe aggiungere nulla di decisivo.
Cari amici avrete di certo notato come questa scrittrice ( alcune volte pure con uno pseudonimo) abia scritto romanzi letti in tutta europa e in America . Occorre scivere bene !!! e questo avviene se si legge molto !!!
Opere
Romanzi L'amore molesto, Roma, E/O, 1992.--I giorni dell'abbandono, Roma, E/O, 2002.
La figlia oscura, Roma, E/O, 2006.--L'amica geniale, Roma, E/O, 2011.
Storia del nuovo cognome. L'amica geniale volume secondo, Roma, E/O, 2012.
Cronache del mal d'amore, Roma, E/O, 2012. (Raccolta in unico volume de L'amore molesto, I giorni dell'abbandono e La figlia oscura).
Storia di chi fugge e di chi resta. L'amica geniale volume terzo, Roma, E/O, 2013.
Storia della bambina perduta. L'amica geniale volume quarto, Roma, E/O, 2014.
Racconti per bambini
La spiaggia di notte, Roma, E/O, 2007.Saggi[modifica | modifica wikitesto] La frantumaglia, Roma, E/O, 2003. Audiolibri[modifica | modifica wikitesto]L'amica geniale letto da Anna Bonaiuto, Roma, Emons Audiolibri, 2014. Storia del nuovo cognome. L'amica geniale volume secondo letto da Anna Bonaiuto, Roma, Emons Audiolibri, 2015. Storia di chi fugge e di chi resta. L'amica geniale volume terzo letto da Anna Bonaiuto, Emons Audiolibri, 2015. Storia della bambina perduta. L'amica geniale volume quarto letto da Anna Bonaiuto, Emons Audiolibri, 2016.
La scrittrice italiana Silvia Ronchey-saggista e filologa bizantinista
La scrittrice Silvia Ronchey, nata a Roma il 13 marzo 1958, è una saggista, filologa, accademica e bizantinista italiana. Già docente associato all'Università di Siena, è oggi professore ordinario di Filologia Classica e di Civiltà bizantina nel Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università di Roma Tre. Collabora con il quotidiano “La Repubblica”ed è la figlia della scrittrice Vittoria Aliberti e di Alberto Ronchey, giornalista, scrittore ed ex-ministro dei Beni Culturali. Inizia il suo corso di studi superiori . per la civiltà bizantina e diceva agli amici:« ... passavo il mio tempo nell’adiacente Biblioteca Casanatense o mi spingevo fino all’Angelica. Ho continuato per tutti i tre anni del liceo, e quando mi sono accorta che la letteratura greca non finiva con quella che all’epoca si chiamava ellenistica, come poteva sembrare dai manuali scolastici, ma continuava per undici secoli, appunto a Bisanzio. Da allora ho cominciato a inoltrarmi con emozione in quella frontiera sconosciuta. Bizantinista dal 1976 e nello stesso anno iniziò il mio tirocinio paleografico sui manoscritti del Monastero di San Giovanni Teologo a Patmos. Nel 1981 si laurea a Pisa con una tesi in Filologia bizantina. Negli anni successivi, oltre che a Patmos, lavora alla Biblioteca del Patriarcato Greco Ortodosso di Alessandria d'Egitto, al Centre d'Histoire et Civilisation du Monde Byzantin del Collège de France di Parigi e, con una borsa di studio Fulbright, al Dumbarton Oaks Center for Byzantine Studies di Washington D.C. dove inizia la collaborazione con uno dei massimi bizantinisti del Novecento, Aleksandr Petrovič Každan. Tra le sue opere scientifiche giovanili gli studi sulla Cronografia di Psello, di cui pubblica la prima traduzione italiana, sulla vita bizantina del Buddha, sugli antichi Atti dei martiri greci, e i primi saggi su Ipazia e su Bessarione. Con Kazhdan scrive a quattro mani sull’aristocrazia bizantina . A partire dalla fine degli anni Novanta ha prodotto monografie sulla cultura di Bisanzio, tra cui Lo stato bizantino , e sulla fortuna di Bisanzio nell'età moderna e contemporanea. Oltre ai numerosi saggi specialistici in pubblicazioni scientifiche, ha scritto saggi di ampia diffusione, tradotti in più lingue, come L’enigma di Piero (Rizzoli), Il guscio della tartaruga (Nottetempo), Il romanzo di Costantinopoli (Einaudi) e Ipazia. La vera storia (Rizzoli ) è il libro campione di vendite, vincitore di più premi: Premio Pisa 2011, Premio Città delle Rose 2011, Premio Teocle 2011 ed è accolto con unanime favore dalla critica. Dopo un ventennio di collaborazione a La Stampa e al suo supplemento” Tutto libri” , attualmente scrive regolarmente per La Repubblica. Insieme allo scrittore e docente universitario Giuseppe Scaraffia ha scritto e condotto programmi culturali per la RAI collaborando con RAISAT, RAIUNO, RAIDUE e RAITRE. Fra questi” L'altra edicola”, programma culturale in onda su RAIDUE e, in seguito su RAISAT1 dal 1994 al 1999. Sempre insieme a Scaraffia ha anche realizzato una serie di interviste a grandi "vecchi" della cultura come Ernst Jünger , Claude Lévi-Strauss , James Hillman , David Lodge, Keith Waldrop, Jean-Pierre Vernant ecc.
Tra i suoi programmi radiofonici, si segnalano il ciclo sulla caduta di Costantinopoli e la serie sul
melodramma antico, medievale e bizantino in Di tanti palpiti (RadioRaiTre). L'incontro con lo
psicoanalista, saggista e filosofo statunitense James Hillman, in particolare, ha dato origine a una
duratura collaborazione che si è espressa, oltre che nelle interviste televisive, nei due libri-dialogo
L'anima del mondo e Il piacere di pensare (Rizzoli), protraendosi fino alla scomparsa di Hillman, del
cui ultimo libro sta curando la pubblicazione postuma. All’ultimo decennio appartengono studi su
Costantinopoli, su Mistrà, sul declino e la caduta di Bisanzio, sulle radici culturali bizantine del
Rinascimento europeo, sull’eredità storica del titolo imperiale della Seconda Roma dopo l'espansione
islamica.
Cari amici Lions, come noterete la scrittrice ha scritto parecchie opere di cui
ve ne segnalo solo alcune che non sono di facile lettura ma che vi indicano
quanta cultura Ella possedesse.
Domenico Bianchi Lions DO // ascritto I.C.Rosmini 18 01 18
L'enigma di Piero. L'ultimo bizantino e la crociata fantasma nella rivelazione di un grande quadro,
Milano, Rizzoli, 2006, ISBN 978-88-17-00713-9. - BUR, 2007.
Il guscio della tartaruga. Vite più che vere di uomini illustri, Collana Narrativa, Roma, Nottetempo,
2009, ISBN 978-88-7452-194-4.
Ipazia. La vera storia, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2010, ISBN 978-88-17-04565-0. - Primo
premio Sezione Saggistica Premio Nazionale Letterario Pisa 2011.
La Cattedrale sommersa. Alla ricerca del sacro perduto, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli, 2017, ISBN 978-88-17-09465-8.
Lettera a tutti i soci del grande distretto 108IB1 al termine delle vacanze Natalizie e l’inizio del nuovo anno sociale 2017/2018
Cari amici soci sono certo che ormai ben conosciate il Link necessario per leggere i miei scritti che, come desidera il Presidente internazionale hanno come scopo l’aumento della conoscenza di quanto ci offre la letteratura nazionale e quella internazionale sia oggi che del passato.
Voglio ricordare che il lionismo internazionale è stato scelto da ognuno di noi soci quando si è reso conto che l’aiuto ai bisognosi è più importante dell’elemosina che, pur grande, ognuno di noi può fare per proprio conto. In comunione con altri che hanno lo stesso scopo si può agire, se uniti, in maniera più proficua verso le necessità del sociale contribuendo con i nostri services d’opinione.
Credo che tutti concorderete con quanto dettoVi.
E’ ovvio che più si è, più è semplice raggiungere questi scopi ma è pur vero che se si è in molti è impossibile che tutti abbiano la medesima religione o non siano pure agnostici. Per questo il Lionismo internazionale è decisamente e volutamente laico come è ben detto nell’organigramma che ciascuno di noi possiede perchè consegnatogli dal Governatore dell’anno sociale in corso (nel nostro distretto da Franco Guidetti ) e che nella sua pagina terminale dice “fornire un luogo di dibattito per discussioni aperte su tutte le questioni di interesse pubblico, fatto salvo che politica e religione non saranno argomenti di discussione fra soci
Ora i più attenti tra di noi ci diranno: come mai, sempre all’ultima pagina dell’organigramma vi è la preghiera dei Lions indirizzata al Signore? Ora vi dirò che di questo argomento ne ho parlato a lungo on il nostro bravissimo Governatore che ha pensato che la maggior parte dei soci del suo distretto è stata battezzata e quindi possieda quello spirito Santo che la spinge a fare del bene e pertanto chiama Signore sottointendendo Gesù Cristo, per avere molti suoi aiuti e…………. quanto sopra è indipendente dal Lionismo internazionale.
Penso che il mio pensiero abbia chiarito dei dubbi e sono lieto anche perchè a breve inizierò ad annoiarVi con i miei scritti .
Lions DO Domenico Bianchi // ascritto I.C, Rosmini
Anna Torretta
Cari amici Lions, desidero iniziare il compito assegnatomi dal GD per la cultura generale a.s. 17/ 18 parlandoVi di una giovane donna che, se ha scritto un solo libro sulla montagna, di contro ha dato al nostro paese i primi posti se non il primo posto assoluto in quello sport che la maggior parte di noi non pensava fosse indicato per le donne e cioè l’arrampicata sul ghiaccio delle alte cime dell’Europa e non solo. Essa si chiama Anna Torretta ed è nata Torino nel 1971; si è laureata in architettura ed è una delle migliori atlete italiane di montagna. Pensate che a soli dodici anni scalò il suo primo quattromila (Gran Paradiso), a 13 la prima parete nord (Piccola Ciamarella), a 18 la Via degli Svizzeri sul Grand Capucin e poi…….. l'amore per il ghiaccio e le vie di misto, che ha salito con” le prime femminili in assoluto”. Oggi è la pluricampionessa italiana e vicecampionessa del Mondo di arrampicata su ghiaccio ed ha partecipato per anni alla Coppa del Mondo di questa specialità. Essa scalò il Dablam (6.856 m, da sola), sulle montagne dell'Afghanistan e nel 2010 ha tentato il Cho Oyu (8.201 m). Dal 2004, dopo aver vissuto per alcuni anni a Innsbruck (dove ha fondato la scuola di alpinismo femminile), risiede a Courmayeur, dove lavora come guida per la Società delle Guide Alpine, prima e unica donna. Nel 2015 ha partecipato al reality "Monte Bianco" su Rai2. Le donne le si avvicinano, la accarezzano, le parlano e mentre gli uomini conquistano la vetta, le donne la raggiungono. Soffrire per il dolore fa parte della loro natura e non a caso un detto tibetano dice che vi è come un filo conduttore che unisce donne e montagna, una specie di affinità e di appartenenza. Intervistata, essa dice : “ Apro un poco la porta del rifugio, uno spiraglio, giusto per osservare il cielo nero e i milioni di stelle che lo puntellano. Non un suono, solo il vento che scivola sul ghiaccio. Ed è in questo momento che capisco di aver trovato la giusta prospettiva che è poi la ragione che spinge chi come me ama la montagna a fare quello che fa, il senso che tiene insieme tutte le esperienze. È la pace dopo la fatica, la bellezza dei luoghi, il superamento delle paure. È l'amore." Nessuno meglio di Anna Torretta può raccontare quanto vita e montagna siano strettamente intrecciate, se non la stessa cosa. Perché ha salito pareti di roccia e cascate gelate in ogni angolo del Pianeta, perché si è imposta in un ambiente che di solito è maschile. E perché forse, da donna e madre, percepisce più forte il palpito vitale della natura. C'è tutto un mondo che prende vita in queste pagine, da una scalata all'altra: la guida alpina che distrugge i segnali sul percorso, perché se non sai ascoltare le fate del bosco che ti indicano la via, non sei degno di scalare. Così dice pure “Lola,quell’alpinista rimasta paralizzata, che, grazie agli amici, torna in quota”. Attraverso le esperienze di Anna, vediamo la montagna trasfigurarsi. Dal 20 ott 2017 è' in corso di svolgimento a Milano la quarta edizione del Milano Montagna; Festival che prevede due giornate nella nuova sede della Fondazione Feltrinelli (via Pasubio 5) dedicate a incontri, proiezioni, presentazioni di libri e docufilm, una giornata di Action Sport al Parco. Sono le donne ribelli che adorano le montagne ed hanno sfidato le più grandi, spostando le soglie delle proprie discipline per un viaggio tra esse. Sono donne che come Anna Torretta, dopo essersi laureata in architettura si sono dedicate alla conquista femminile delle quote ed a 150 anni di scalate in montagne. Paula Wiesinger, grande scalatrice altoatesina degli anni Trenta, una delle pochissime donne a quei tempi capace di affrontare un sesto grado come capocordata. è passata alla storia anche l'impresa di 100 audaci alpiniste che il 27 luglio 1960, con una temperatura di 7 gradi sotto zero e venti fortissimi raggiunsero riunite le alte cime. La celebre alpinista e guida alpina, Anna Torretta, pluri-campionessa italiana e vice campionessa del Mondo di arrampicata su ghiaccio, è oggi un volto noto della televisione. La celelebre alpinista e guida alpina presenterà il suo recentissimo libro “La montagna che non c’è”, edito da Piemme. Questo libro è uscito appena da pochi giorni, ma sta già raccogliendo un grandissimo riscontro di pubblico. Si tratta, infatti, di un’opera avvincente, ricca di aneddoti, di storia dell’alpinismo, di profili di personaggi con le loro virtù e debolezze, dove l’autrice racconta con un linguaggio asciutto e coinvolgente il suo ideale di montagna e le “lotte” delle donne per conquistare anche alle alte quote con lo stesso riconoscimento degli uomini. Il suo è un libro che prende dalla prima all’ultima pagina, perché ogni riga esprime l’immensa passione che anima la sua quotidianità, dove montagna e vita si fondono insieme, in un inseparabile abbraccio con la roccia, il ghiaccio, il cielo. La montagna diventa così un mondo che si rinnova continuamente: “da posto fisico diventa la meta che si sposta ogni volta che pensi di averla raggiunta e diventa continua ricerca; è l’istinto stesso che ti spinge a cercare e a cercarti. La montagna ti pone sempre un’altra sfida, come la vita. La ragione che spinge chi come me ama la montagna a fare quello che fa, il senso che tiene insieme tutte le esperienze. È la pace dopo la fatica, la bellezza dei luoghi, il superamento delle paure. È l’amore.”
Domenico Bianchi 15 01 2018
se amate il silenzio e la solitudine non vi impaurisce vi invito a leggere questo bel libro
La nascita di Gesù
Il giovane scrittore Italiano Alessandro D’Avenia
Alessandro D'Avenia è uno scrittore, insegnante e sceneggiatore italiano, che è nato il 2 maggio 1977 da Rita e Giuseppe ed è il terzo dei loro sei figli. Dal 1990 frequenta il liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo, dove incontra padre Pino Puglisi, che insegnava religione nello stesso istituto, dalla cui figura viene fortemente influenzato così come da quella dell'insegnante di lettere. Nel 2000 si laurea in lettere classiche alla Sapienza di Roma; vince poi il dottorato di ricerca a Siena, che completerà nel 2004 con una tesi sulle "sirene" in Omero e il loro rapporto con le Muse nel mondo antico. Mentre è impegnato col dottorato, insegna per tre anni nelle scuole medie. Frequenterà poi la scuola di specializzazione per l'insegnamento secondario; attualmente è professore di lettere al Collegio San Carlo di Milano. Fonda una compagnia teatrale dilettante e gira un cortometraggio. Nel 2006 frequenta a Milano un master in produzione cinematografica all'Università Cattolica del Sacro Cuore. La sua attività di scrittore inizia contemporaneamente a quella di insegnante. Il romanzo d'esordio Bianca come il latte, rossa come il sangue esce nel 2010 e diventa rapidamente un successo internazionale, raggiungendo il milione di copie e ventidue traduzioni nel 2017. Il secondo titolo di D'Avenia è Cose che nessuno sa, pubblicato nel novembre 2011 e tradotto in dieci lingue. Collabora anche come pubblicista con alcuni quotidiani italiani (Avvenire, La Stampa). Come sceneggiatore, nel 2008 ha firmato alcuni episodi della terza serie di Life Bites - Pillole di vita presso Disney Italia. Tra il 2011 e il 2012 lavora alla sceneggiatura del film tratto da Bianca come il latte, rossa come il sangue, prodotto da Rai Cinema, che esce nelle sale cinematografiche nell'aprile 2013. A ottobre del 2014 esce il suo terzo romanzo, Ciò che inferno non è tradotto in tre lingue nel 2017. I suoi primi tre libri risultano essere (secondo il sito del MIUR) tra i dieci libri più amati dai giovani italiani. Il 31 ottobre 2016 è uscito il suo quarto libro, L'arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita, divenuto anche un'opera teatrale. Il 31 ottobre 2017 è uscito il suo quinto libro, Ogni storia è una storia d'amore. Cari amici Lions, pemttemi ora di parlarvi di una intervista che è stata fatta da un giornalista perché essa vi servirà a conoscere meglio il Professor Alessandro D’Avenia. In essa lo scrittore racconta la passione che ha legato 36 coppie di artisti nel suo nuovo bestseller "Ogni storia è una storia d’amore". In questa intervista spiega cos'è per lui l'amore. Egli rivela di essere un uomo molto romantico………..Ah, l’amore... ……sul tema si sono cimentati scrittori, artisti, musicisti, poeti. Cercando di dare forma ai turbamenti dell’anima. Ma cos’è l’amore? Ci salva dalle brutture del mondo? Prova a dare una risposta Alessandro D’Avenia in Ogni storia è una storia d’amore un incrocio tra fiction, critica letteraria e saggistica. Già con il libro precedente, L’arte di essere fragili, partendo da Giacomo Leopardi e dalle sue opere, D’Avenia aveva cercato di raccontare la vita. L’amore riguarda tutti. Ma cos’è? Glielo richiedo a bruciapelo. Ride. «Ah, partiamo subito così?». «C’è una grande promessa in questa parola» mi spiega. «Che però nelle nostre vite viene troppo spesso disattesa. Se sapessi cos’è l’amore non avrei scritto un libro di 120 pagine.
Però, proprio perché non lo so, l’ho scritto». Attraverso il mito di Orfeo ed Euridice racconta 36 grandi storie d’amore di artisti, scrittori, musicisti con le loro donne. Il libro diventerà una pièce teatrale nel 2018 L’amore è l'unico antidoto al dolore Ogni storia è una storia d’amore è un viaggio attraverso 36 donne di artisti famosi: «Per avere una immagine generale di cosa è questa benedetta cosa che siamo convinti sia l’unica che possa portare luce nei nostri giorni, ma che sembra non funzionare». . Ci sono l’amore e il disamore, tutto il ventaglio dei sentimenti. Fino alla morte. «L’amore è l’antidoto che la natura umana ha messo in campo per sconfiggere la cosa che ci fa più paura». L'amore è un’officina aperta 24 ore su 24. Capisco che da questo turbinio di emozioni e sentimenti non se ne esce. Tu, tutta questa sensibilità dove l’hai imparata? «In famiglia. È la relazione fra i tuoi genitori che ti fa capire cosa è un uomo e cosa è una donna. I miei mi hanno insegnato che l’amore è un’officina aperta 24 ore su 24: ti arrivano le cose ammaccate e rotte e tu devi stare lì a ripararle con tanta pazienza. Però la sensibilità l’ho imparata soprattutto da mia madre. La dedica iniziale del libro è a lei. Mi ha mostrato l’intelligenza del cuore». L’intelligenza del cuore? Cos’è? «Il cuore e la testa non devono mai andare separati. Oggi, invece, viviamo una specie di divorzio fra i due: siamo o totalmente sentimentali o totalmente cinici. Lo vedo con i ragazzi con cui ho a che fare tutti i giorni: hanno la testa calda e il cuore freddo. Allora questo libro nasce pensando ai tuoi ragazzi? «Un po’ sì: è come un’educazione sentimentale riveduta e corretta in base alle suggestioni, alle sollecitazioni, ai drammi di cui sono testimone nel mio vivere quotidiano a scuola». I ragazzi, mi racconta, lo canzonano quando fa il divo, perché lo vedono come un maestro, con tutti i suoi difetti. «Con loro faccio il prof. I piani li tengo separati e non voglio che pensino che la mia vita sia felice perché ho successo». L'amore è romanticismo e delicatezza, Nella vita di Alessandro, terzo di 6 figli, hanno un posto importante le 3 sorelle, «che fin da bambino mi hanno costretto a considerare il punto di vista femminile come imprescindibile. Se non altro perché mi occupavano la stanza quando io volevo stare per i fatti miei». Una, Marta, è anche l’artista delle sue copertine. Anche le amiche e le donne che ha conosciuto nella vita lo hanno influenzato. La sua donna ideale? «Capelli rossi o biondi, pelle bianchissima. A metà tra la Venere di Botticelli, per l’aspetto etereo, e una donna di Modigliani, per la sensualità» mi rivela. Ti consideri romantico? A questo punto non posso non chiederglielo. «Dipende: se per romantico intendi l’uomo all’antica che crede nel corteggiamento e nei gesti delicati, allora sì». Sei innamorato? «Costantemente. A 40 anni mi sono reso conto che la qualità dei rapporti è l’unica cosa che rende questa vita sopportabile. Quindi perché non puntare tutto su questo?».
Lions D O Domenico Bianchi // ascritto I.C. Rosminiano
Lo scrittore italiano Federigo Tozzi
Cari amici Lions Lo scrittore di cui sopra è rimasto sconosciuto per molti anni e solo la critica moderna lo ha giustamente riabilitato. Leggete qualche suo libro e fatemi sapere il Vostro pensiero. E’ nato a Siena il 1º gennaio 1883 ed è morto a Roma il 21 marzo 1920 ed è stato uno scrittore italiano per lungo tempo misconosciuto, pur avendo scritto numerosi libri. E’ stato rivalutato solo molti anni dopo la sua scomparsa ed è ormai considerato uno dei più importanti narratori italiani del Novecento, oggetto di un'attenzione critica sempre crescente. Nacque a Siena da Federico detto Ghigo e Annunziata Automi, donna molto mite e gentile, ma affetta da epilessia. Il padre, di origini contadine, possedeva il "Ristoratore il Sasso" presso l'Arco dei Rossi (è rimasto ancora com'era il cortile di pietra ove si aprivano le rimesse e le stalle ed è tuttora esistente il Ristorante che ha, da pochi anni, ripreso il nome originale. Il padre possedeva pure due poderi nei dintorni di Siena ed era un uomo molto abile negli affari e piuttosto rude: i suoi momenti di collera e il suo disprezzo verso la cultura provocarono molti traumi a Federigo, dotato di una forte sensibilità. I contatti del ragazzo con la scuola si rivelarono subito difficili. Tozzi frequentò la scuola elementare in seminario e in seguito nel Collegio Arcivescovile di Provenzano, dal quale fu allontanato per cattiva condotta nel 1895, anno in cui morì anche sua madre. Si iscrisse allora alla scuola delle Belle Arti, dove trascorse tre anni piuttosto burrascosi e ne fu espulso. Si iscrisse in seguito alle scuole tecniche e ne frequentò i corsi a Siena e a Firenze ma con scarso profitto. Pur studiando in modo saltuario e molto disordinato, sviluppò un grande amore per la lettura cominciando a frequentare la biblioteca comunale di Siena, dove formò una cultura aperta ai più diversi influssi, soprattutto a quelli della moderna psicologia. Nel 1902, essendo rimandato in alcune materie per l'ammissione alla terza classe, abbandonò per sempre gli studi regolari. Intanto, nel 1900, il padre si risposa, e Tozzi trasporrà la matrigna in Luigia, un personaggio de Il podere. Nel 1901 si iscrisse al Partito Socialista degli Italiani, e strinse amicizia con l'intellettuale Domenico Giuliotti. L'interesse politico si spense presto mentre nel 1902 risale l'inizio dello scambio epistolare con una Annalena che inizia una raccolta di epistole, pubblicata postuma come diario intimo dell'autore. Dopo la morte del padre nel 1908 iniziò a scrivere le novelle di Bestie e i suoi romanzi più famosi, ovvero Con gli occhi chiusi ed Il podere. Nello stesso anno sposa Emma Palagi e insieme a lei inizia un'attività letteraria più intensa. Del 1911 sono le liriche di La zampogna verde. Nel 1913, fondò insieme al suo amico Domenico Giuliotti la rivista quindicinale La Torre, di carattere cattolico e nazionalista, coincidente con la sua conversione al cattolicesimo che contribuisce al carattere religioso delle sue opere. Di fondamentale importanza nel suo percorso di fede sono la scoperta dei due santi più rappresentativi di Siena, Santa Caterina e San Bernardino. Poco dopo Tozzi si trasferì a Roma con la moglie e il figlio Glauco, e cominciò a collaborare a diversi giornali e a varie riviste letterarie, mentre l'Italia entrava in guerra. Nel 1915 pubblica Bestie, presso l'editore Treves, già editore di D'Annunzio. Nello stesso anno, a causa della guerra, Tozzi decide di lavorare presso l'ufficio stampa della Croce Rossa dove rimarrà per parecchi anni. Conobbe in questo ufficio Marino Moretti e da lui venne presentato all'editore Treves. È questo finalmente il periodo in cui riesce ad affermarsi e ad entrare in contatto con i maggiori scrittori e intellettuali dell'epoca (da Panzini a Pirandello, Borgese). Nonostante queste conoscenze la sua vita non era affatto facile pur con ì’aiuto di Pirandello e Borgese che furono coloro che maggiormente credettero in lui. Nel 1919, Tozzi aveva pubblicato Con gli occhi chiusi, che fu messo in ombra da Tre croci del 1920, anno in cui viene pubblicato anche Gli egoisti, un romanzo autobiografico imperniato sull'ambiente letterario romano, e Giovani una raccolta di novelle sempre per essere aiutato da Treves. Con gli occhi chiusi viene considerato come uno dei romanzi maggiormente espressivi del primo dopoguerra. Tozzi infine raggiunse la notorietà quando Borgese giudicò come capolavoro del realismo il suo ultimo libro, Tre croci. Era l'inizio del 1920 e, poco tempo dopo, il 21 marzo, lo scrittore morì, colpito dall'influenza spagnola che gli causò una violenta forma di polmonite. Per comprendere bene questo grande scrittore italiano occorre osservare bene gli scritti inediti trovati dal figlio Glauco ed in parte da lui pubblicati postumi. Lo scrittore senese fu riscoperto dal grande pubblico molto tardi, negli anni sessanta, probabilmente a causa dell'errata interpretazione delle sue opere, fino ad allora genericamente ricondotte nell'ambito del Verismo. Solo la recente critica ha capovolto la visione di un Tozzi realista proponendolo come scrittore di stampo profondamente psicologico e vicino al simbolismo, paragonandolo a livello europeo alla prosa di Kafka e Dostoevskij. Fondamentali per la comprensione dell'opera di Tozzi sono risultati i contributi critici di due autorevoli studiosi, Giacomo Debenedetti e Luigi Baldacci. Le opere di Federigo Tozzi esigono una certa maturità di lettura. Gli ostacoli che si trovano nella sua prosa spesso impediscono una lettura gradevole perchè talvolta è scostante e lo scrittore non fa nulla per incantare il lettore. Il principale ostacolo è la profonda tristezza del mondo che descrive nella trama del libro che. sembrerebbe rivelare un profonda concezione pessimistica della vita: tra i personaggi regna l'incomunicabilità ed in tutto il romanzo è forte la presenza del male. In realtà, in una prospettiva religiosa e non psicanalitica devono essere ricondotti tutti i grandi temi del romanzo: l'incomunicabilità degli individui, che rende infernale la condizione umana, il mistero di ogni atto. D'altra parte lo stesso titolo Con gli occhi chiusi deriverebbe da un passo del De imitatione Christi: "Beati gli occhi che sono chiusi alle cose esteriori" per cui essi si aprono soltanto dinanzi alla visione delle cose più profonde. DI lui ha così scritto Il cattedratico Nicola Francesco Cimmino « l'afflato lirico rappresenta l'essenza stessa del libro; non soltanto un gioco architettonico nell'armonia della pagina, bensì anche la rivelazione di una realtà superiore e profonda da cui l'uomo può adire. » Con gli occhi chiusi ottenne, come tutte le opere di Tozzi, un riconoscimento critico piuttosto limitato, benché gli scrittori di Solaria e Campo di Marte avessero segnalato il romanzo. Insieme a Tre croci il romanzo fu apprezzato per la modernità degli approfondimenti psicologici. L'affermazione dell'opera avvenne solo negli anni Sessanta, quando ebbe una giusta diffusione.
DOMENICO BIANCHI 30 novembre 2017
Di questo scrittore ho letto “Con gli occhi chiusi “ e “ tre croci “ e mi è piaciuto
Roberto Deidier è un importante giovane critico e poeta italiano
Cari amici Lions sono stanco di parlarVi di poeti e scrittori anziani o da poco scomparsi e per rilassarmi un poco Vi segnalerò qualche poeta e critico letterario italiano, attuale per i miei giovani o maturi lettori, soci del Lionismo sperando in una loro lettura attenta e approfondita. Roberi Deidier nacque a Roma il 31 agosto 1965 e nel 1991 si laurea in Lettere alla Sapienza, annoverando tra i suoi maestri Ida Magli, Alberto Asor Rosa, Maurizio Calvesi e Agostino Lombardo. Presso la stessa università consegue nel 1997 il Dottorato di ricerca in Italianistica. Dopo avere insegnato nelle università di Roma Tre e di Cassino e aver lavorato come redattore dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, nel 1999 approda all'università di Palermo, dove insegna Letterature comparate e Letteratura italiana moderna e contemporanea. Dal 2014 è professore ordinario di Letterature comparate nell'università di Enna "Kore". L'esordio poetico è del 1989, su alcune riviste del tipo Tempo presente, rivista fondata da Ignazio Silone. In quello stesso anno fonda con Marina Guglielmi un piccolo periodico di poesia, "Trame", che viene stampato fino al 1995. Prosegue pubblicando sue poesie su altre riviste. Del 1995 è la sua prima raccolta in volume, Il passo del giorno (Sestante, con prefazione di Antonio Prete),con la quale riceve il Premio Mondello per l'opera prima. Dal 2000 al 2011 è stato chiamato a far parte della giuria di importanti premi. Nel 1999, in edizione d'arte, appare Libro naturale, pubblicato nelle Edizioni dell'Ombra dell'amico stampatore Gaetano Bevilacqua, con una incisione di Giulia Napoleone. Chiuse le edizioni Sestante, nel 2002 raccoglie i primi due libri in Una stagione continua e congeda la terza raccolta, Il primo orizzonte (San Marco dei Giustiniani). Segue un lungo silenzio editoriale, per la poesia, interrotto dal quaderno di traduzioni Gabbie per nuvole (Empirìa 2011) e dal nuovo libro Solstizio (Mondadori 2014). Ha curato opere e carteggi di autori del Novecento come Eugenio Montale, Sandro Penna, Umberto Saba, Giorgio Manganelli, Giovanna Sicari, Dario Bellezza. Dal 2003 al 2011 ha diretto la rivista online Arcojournal. Dal 2004 fa parte della redazione di Poeti e poesia, dove è titolare della rubrica "Periscopio". Fa inoltre parte della giuria di Subway letteratura. Come critico militante tiene nel blog all'interno del suo sito la rubrica "Ailanto", con recensioni e segnalazioni di libri di poesia italiani e stranieri.
Domenico Bianchi 27 11 2017
È bello scrivere di questi giovani che hanno raggiunta la laurea e l’insegnamento universitario. Da essi è logico attendersi quel briciolo di aumento di cultura affinchè la nostra Italia non sia più la cenerentola d’Europa.
Lo scrittore e letterato Erri De Luca
Cari amici lions, vi descrivo la vita di uno scrittore italiano noto per il suo interesse nella vita sociale, per l’amore per la Montagna e per essere un autodidatta; egli infatti sa scrivere e conosce molte lingue sia vive che morte. Enrico De Luca, detto Erri, nato a Napoli il 20 maggio 1950 è un giornalista, scrittore e poeta italiano. Dice « Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca. Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle. Considero valore il vino finché dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano. » Il suo nome gli derivò da quello dello zio Harry, di cui è l'italianizzazione. Fece gli studi al Liceo classico Umberto I; nel 1968, a diciotto anni, andò a Roma e aderì a Lotta Continua Nel 1976 lasciò l'impegno politico. Dice « Ho fatto il mestiere più antico del mondo. Non la prostituta, ma l'equivalente maschile, l'operaio, che vende il suo corpo da forza lavoro » Svolse per vivere molti mestieri manuali, in Italia e all'estero; fu operaio qualificato, camionista, magazziniere e pure muratore. Fu operaio in fabbrica, muratore a Napoli dopo il terremoto, muratore in Francia, volontario in Africa, Tanzania, dove contrasse la malaria, operaio di rampa in aeroporto a Catania, muratore a Milano e a Roma, fino al 1997. Durante la guerra della ex Jugoslavia fece l'autista di convogli umanitari. Nel 1999 fu a Belgrado durante il periodo dei bombardamenti della NATO. Studiò da autodidatta diverse lingue, tra cui il russo, lo swahili, lo yiddish e l'ebraico antico. Con questa lingua tradusse alcuni testi della Bibbia con lo scopo di renderli più simili a quelli originali antichi. Pubblicò tutto o quasi il testo biblico in lingua facile o elegante e di seguito lo riprodusse nella lingua più simile e più obbediente all'originale ebraico. Come scrittore il suo primo romanzo Non ora, non qui, è una rievocazione della sua infanzia a Napoli quando aveva quasi quarant'anni. Tradotto in francese, spagnolo, inglese e 30 altre lingue, tra il 1994 e il 2014 ha ricevuto il premio France Culture per i cavalli che correvano a Siena.
Nel 2003 ha fatto parte della giuria della 56ª edizione del Festival di Cannes, presieduta dal regista francese Patrice Chéreau, che ha assegnato la Palma d'oro per il miglior film a Elephant di Gus Van Sant. Il critico letterario del Corriere della Sera Giorgio De Rienzo in un articolo del 2009 lo ha definito "scrittore d'Italia del decennio. Ha scritto anche sulle montagne, delle quali si è più volte definito un grande amante. Fu suo padre, un anziano militare del corpo degli Alpini, a trasmettergli questa passione. È conosciuto nel mondo dell'alpinismo e dell'arrampicata per aver partecipato a una spedizione himalayana con l'amica Nives Meroi, esperienza narrata nel libro Sulla traccia di Nives. Nel 2014, è stato membro della giuria del Piolet d'Or, un premio francese di alpinismo. Si è dedicato al sociale e occupato anche delle tematiche dell'emigrazione. Con la giornalista Chiara Sasso ed altri ha partecipato alla scrittura del libro Nemico pubblico. Ha sostenuto i diritti degli abitanti del territorio della Val di Susa e delle loro istanze e per alcune frasi ebbe una condanna. Ma poi spiegò le sue ragioni e il diritto alla libertà di parola Con la nipote Aurora ha portato in teatro uno spettacolo intitolato In viaggio con Aurora . Ora egli abita e vive nella campagna romana. La Fondazione Nel 2011 ha creato la Fondazione Erri De Luca con finalità culturali e sociali, attraverso gli strumenti comunicativi delle diverse discipline artistiche. Tra gli archivi culturali, messi a disposizione dalla fondazione per la consultazione, c'è anche quello del giornale Lotta Continua che è consultabile tramite web . Nel 2002 è stato insignito della cittadinanza onoraria dal comune di Ischia Ha scritto moltissimo ma certamente non è lo scrittore preferito da tutti.
I suoi libri li troverete nelle biblioteche
Domenico Bianchi 20 11 2017
Comunicazione
Cari amici Lions, purtroppo Vi debbo dare oggi una cattiva notizia e cioè che nell’ultima settimana sono scomparse tre poetesse. Nel mio scritto odierno ve ne parlerò solamente di due di esse : l’americana Wanda Coleman e l’italiana Wanda Casellato, lasciando al mio scritto successivo il parlarVi della ’italianissima Wanda Girardi Castellani.
Mi capirete certamente se Vi dico che avrei preferito parlarVi di scrittori ancora viventi e non defunti per i quali , se siete cattolici, Vi invito a dire una preghiera a Gesù ed a Sua Madre.
E’ Morta Wanda Coleman, la poetessa nota in America per le continue sue denunce contro il razzismo ancora esistente nel paese più democratico del mondo.
Coleman era veramente un forza della natura ed era sempre pronta a dire la sua nella lotta contro quel razzismo non dichiarato ma tuttora esistente. Purtroppo in questi giorni è scomparsa ancora, giovane, dopo avere sopportato dolori acuti. Essa per quarant'anni è stata una protagonista assoluta della scena letteraria della metropoli californiana ed era conosciuta con l'appellativo 'The L.A. lueswoman'”. Fu autrice di venti libri, compresi romanzi e raccolte di racconti brevi. Coleman si era affermata per la sua poesia 'dura', con poemi che hanno cercato di eliminare le paure, la disperazione e la povertà dei neri in lotta quotidianamente per affermare la loro dignità ed identità, sempre.!! E’ morta in un ospedale di Los Angeles all'età di 67 anni e dopo una lunga malattia. Era nata il 13 novembre 1946 ed era cresciuta a Los Angeles, nel quartiere di Watts, noto per la rivolta afroamericana dell'agosto del 1965, che dopo sei giorni si concluse con 34 morti e 1.032 feriti. Dopo quei tumulti scatenati dai metodi brutali e repressivi della polizia, essa si unì ai giovani attivisti afroamericani nella battaglia per la conquista dei diritti civili e nella lotta al razzismo, una vicenda che poi si è rispecchiata a lungo nella sua poesia e proprio per la sua poesia Coleman ha ottenuto il” Literary Fellowship” dalla National Endowment for the Arts e dalla Fondazione Gugghenheim; nel 1990 ha ricevuto l'Harriet Simpson Arnow Prize per la raccolta poetica "La voce americana", e nel 1999 ha ottenuto il Leonore Marshall Poetry Prize per la raccolta di poemi "Bathwater Wine", su segnalazione dell'Academy of American Poets. Tra i suoi libri di poesie "Imagoes" (1983), "Blues di una donna pesante: poesie e storie 1968-1986" (1987), "Nativo in una terra strana: prove e tremori" (1996) e "Mercurocromo" 2001). Per la narrativa si segnalano i volumi "Guerra di occhi e altre storie" (1988), "Malattia africana del sonno" (1990) e "Hips and Make Believe" (1999). Nel 2005 Coleman ha pubblicato il memoriale autobiografico "The Riot Inside Me: More Trials e Tremors". Troverete i suoi scritti più importanti nelle librerie e ……… leggete una sua poesia! Vi sentirete meglio !!
Addio a Wanda, poetessa incantata
La farfalla della poesia trevigiana è volata via. Con discrezione, lasciando dietro a sé una scia di infinita dolcezza. Ieri all'alba, alla casa Zalivani, è spirata Wanda Casellato. «Ma lei in Paradiso era già arrivata da qualche anno» - dice l'affezionatissimo nipote Ciro Perusini. Chi le era vicino assicura che ancora quando era martedì Ella sentisse la festa del Carnevale, e ridesse festosamente, non solo nell'anima.
Se leggete una sua poesia sembra di vivere quel mondo incantato che Wanda ha vissuto e cantato con solarità e vivacità nella sua lunghissima vita, ben oltre il muro dei 90 anni. Nei suoi scritti poetici essa ci parla della sua mitica casa di Riedi, nella natia Bavaria, del suo Montello, come pure del canto di un uccellino che cantava sui rami, di un cagnolino, del ciclo delle stagioni, dello sbocciare di un fiore, del correre di una nuvola nel cielo. E poi vi commuoverà il suo infinito amore per gli adoratissimi bambini, con cui forse sentiva di condividere lo stupore di essere al mondo. Mi direte : fu allora una grande sognatrice ? assolutamente no !! Essa aveva occhi e anima pura rivolti su quell'irripetibile spettacolo che è il mondo. Chissà se ha mai letto quel che diceva il poeta Blake in «Songs of innocence/songs of experience», divinizzando i bambini, vicini alla grazia di Dio, e lamentando la corruzione degli adulti «inquinati» dal mondo? Lei era cosi. Vedeva, o meglio viveva il mondo senza filtri. E se l'è portato con sè, quando, pochi anni fa, aveva deciso di ritirarsi nella casa di riposo, donando all'istituto la villa fuori mura. Ma sarebbe riduttivo fermarsi alla sua straordinaria vena poetica e alla gioia di vivere, cantata in numerose raccolte. Ve ne citerò solo alcune; la prima, del 1953, «La stanza vuota», poi «Da questa terra» (Marton editore, a cura di Laura Pisanello), «Come foglie», con prefazione di Dino Rosellini, «La sera», «E venne col vento», «il mio Montello», «I bambini», «Son qua n'altra volta», «Pagine di diario». Essa fu una vera donna, una donna di grandi slanci, generosità, di amori intensi, mai culminati nel matrimonio. Wanda è stata donna di cultura, non solo perché maestra di asilo e assistente sociale. Era anche un'intellettuale. Scriveva articoli sull'«Avvenire d'Italia» quando le donne scrittrici si contavano sulla dita di una mano, è stata poi pubblicista per testate trevigiane, nazionali, straniere. Ed era un'appassionata lettrice: il suo archivio è una miniera che scandisce almeno un secolo di storia. Da giovane fu anche animatrice del circolo degli «Amissi della poesia», sodale di Cason, Polo, Boccazzi. Fino alla penna bianca onoraria degli alpini...
Non Vi dico altro se non che la lettura delle sue poesie vi renderà felici e gioiosi come lo sono tutti i bimbi
Domenico Bianchi 10 11 2017
La scrittrice, poetessa , saggista Italiana Wanda Marasco
Miei cari amici Lions desidero parlarVi di questa giovane poetessa, scrittrice e saggista, laureata in lettere, filosofia e diplomata in arte drammatica, che ha scritto molte opere in una lingua colta e non semplicemente giornalistica. Wanda Marasco è nata a Napoli il 6 maggio 1953; è una scrittrice, attrice, regista e insegnante italiana. Si è laureata in Filosofia con Raffaello Franchini, ed ha frequentato il corso di regia all'Accademia d'Arte Drammatica Silvio D'Amico di Roma, sotto la direzione di Ruggero Jacobbi, divenuto poi suo amico e maestro, diplomandosi a pieni voti. Originale poetessa, nonché amica del poeta Dario Bellezza, inizia a farsi conoscere con le sue prime raccolte già tra i sedici e i vent'anni come una delle voci giovani più interessanti e meglio definite nel talento visionario e moderatamente barocco, dove il plagio del negativo corre in versi di notevole spessore. Nel 1977 pubblica la raccolta Gli strumenti scordati, e due anni dopo L'attrito agli specchi. Le viene assegnato nel contempo, e siamo nel 1978, il Premio per la poesia William Blak . Durante il periodo romano, a contatto col mondo teatrale accademico, ha modo di scrivere un dramma, quale rivisitazione del Faust di Goethe e una commedia denominata La Strada dell'Abbondanza. Ha recitato in diverse messinscena di importanti registi teatrali tra cui Aldo Trionfo, e un'interpretazione al Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1982. Negli anni a seguire pubblica ancora poesie con le raccolte Deus Inversus, Le fate e i detriti ed altro sino a raggiungere il riconoscimento del Premio Internazionale Eugenio Montale nel 1997 con la raccolta Voc e Poè. Ha pubblicato nel 2003 il suo primo romanzo L'arciere d'infanzia, edito da Manni Editore, con l'introduzione del poeta milanese Giovanni Raboni che l'ha fortemente sostenuta. La quarta di copertina recita così: «Un romanzo che riguarda non solo la città di "Nopali" ma il mondo in un paradossale impasto tragicomico, attraverso tre racconti che sono, come scrive Raboni nell'introduzione, "autonomi per concezione e stesura e tuttavia convergenti come altrettanti cannocchiali puntati da distanze diverse e con diverse angolazioni su un'unica immagine"». Si è aggiudicata con questo suo scritto il Premio Bagutta per la sezione Opera PrIMA.
Ha insegnato Lettere all'Istituto Tecnico Industriale "Galileo Ferraris" nel difficile quartiere di Scampia a Napoli, continuando nel contempo a seguire la strada del teatro-scuola con la Compagnia Stabile de "Gli Ingiullarati". Suoi testi poetici compaiono sulla rivista «Oltranza» e su «Tracce, trimestrale di scrittura e ricerca letteraria»; una rivista che si propone come una sorta di antologia di poetesse italiane contemporanee e la Marasco qui si presenta ai suoi lettori con tre sue poesie allora inedite. Nel 2006 le è stato conferito il Premio speciale alla carriera "Città di Pieve di Cento". Nel mese di maggio 2007 ha tenuto un ciclo di lezioni del Master universitario in Letteratura, Scrittura e Critica Teatrale, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II. Nello stesso periodo prende parte al lavoro antologico a più mani «Da Napoli/Verso», un almanacco di poeti italiani contemporanei (in maggioranza numerica napoletani) edito dalle Edizioni Kairòs di Napoli. Nel 2011 prende parte alla Rassegna intorno alla figura del drammaturgo Samuel Beckett denominata Catastrofe, curata dall'Accademia di Teatro e Cinema dell'Unione Europea "Eutheca".Con la casa editrice Neri Pozza, pubblica nel 2015 Il genio dell'abbandono, un romanzo centrato sulla figura dell'artista napoletano Vincenzo Gemito. Il genio dell'abbandono è sin da subito candidato alla prima edizione del Premio Nazionale di letteratura Neri Pozza, arrivando nella rosa dei cinque finalisti, e successivamente viene inserito tra i dodici finalisti dell'edizione del 2015 del Premio Strega, ottenendo largo consenso di pubblico e di critica. Nel 2017 è nella cinquina dei finalisti del Premio Strega, stavolta col romanzo La compagnia delle anime finte .
Cari amici Lions noterete quanto sia stata stimolante per la giovane poetessa l’amicizia con poeti più anziani di cui vi narrerò prossimamente. Essa ha scritto molto, sia in rima che in prosa ed in libreria troverete quanto maggiormente apprezzate nei suoi scritti. Domenico Bianchi 08112017
Italiani cattolici e inglesi celebrano le due prime giornate di novembre
Cari amici Lions sono lieto di parlarVi di queste due giornate la prima della quale scadente il 01/11 è una giornata festiva religiosa, perché la chiesa cattolica ricorda tutti i santi che seguendo Gesù Crocifisso sono ora in Paradiso. Pochi di Voi, lo scommetto, non sanno chi fu il primo a seguire il Cristo in Paradiso ed io mi rifaccio ai Vangeli, per ricordarVi che nostro Signore salì al Golgota dove venne crocifisso e durante questo triste percorso incontrò due ladroni che erano stati crocefissi prima di Lui e che erano ancora vivi. Mentre uno di essi lo prese in giro dicendogli cose cattive l’altro che ora chiamiamo “ il buon ladrone” gli disse : Gesù io credo che Tu sia il Messia che aspettavamo e….. salvami se puoi e Gesù gli rispose “la Tua fede Ti ha salvato e Tu sarai oggi con me in Paradiso”. Il buon ladrone fu per questo il primo Cristiano a seguire Gesù in Paradiso direttamente, nonostante fosse stato in vita un malfattore perché Gesù, vista la sua fede, gli condonò subito tutte le sue cattive azioni. Il sapere quanto Vi ho appena detto rassicura tutti i Cristiani credenti nella Resurrezione di Gesù e fa loro passare, anche se non di molto, la paura della morte. La seconda giornata è divenuta, dopo la seconda guerra mondiale, una giornata lavorativa pur se ognuno di noi in essa ricorda i propri cari defunti o andando a pregare sulle loro tombe oppure, se anziani e disabili, ascoltando la Santa Messa trasmessa da TW 2000 e poi recitando con fervore delle preghiere in loro suffragio nella speranza di eliminar loro le pene del purgatorio. Ai miei tempi e cioè quando era una giornata festiva molte persone seguivano la processione che il Parroco del paese organizzava e che, partendo dalla Santa Chiesa raggiungeva il Camposanto, dove nella cappella apposita riposano i Presbiteri defunti. In questa cappella celebravano una Santa Messa a suffragio di tutti i defunti del paese qui sepolti. Le tombe non erano molte e non esistevano i cosidetti colombari. Il paese non raggiungeva i 5000 abitanti mentre oggi ve ne sono circa 7000 ed era un paese agricolo dove , prima che nascessero le industrie, si viveva con fatica nei cortili con pozzi per l’acqua. Le famiglie per sfuggire al freddo si riunivano nelle stalle e le persone anziane raccontavano ai giovani delle panzane che erano delle novelle che spaventavano i bimbi piccoli perché parlavano quasi sempre del diavolo. Per una settimana in ogni famiglia si recitava il Santo Rosario per i nostri cari defunti che venivano chiamati con i soprannomi scarseggiando i nomi propri che nel nostro dialetto si assomigliavano. Quasi tutti i maschi si chiamavano in dialetto : “ Sapìn per Giuseppe, Sim o Sò per Luigi, Paulin e Paulò per Paolo, Peder o Pedrin per Pietro, Carlin o Carlò per Carlo, Vicensi per Vincenzo, Bròs per Anbrogio, Coumin per Giacomo, Mènigh per Domenico ecc. L’intera settimana era dedicata ai defunti e sovente si andava alla sera al Camposanto e il vedere tanti lumini accesi mi mettevano paura e i giovanetti come il, sottoscritto, si stringevano accanto alle mamme ed ai papà.
I Cittadini inglesi chiamano il giorno 02 Novembre la giornata dell’’Orgoglio perché sono trascorsi 100 anni dalla nascita di Israele ed a far nascere questo popolo che da milleottocento anni era in diaspora dopo avere crocefisso il loro Salvatore Gesù. Era il 02 novembre 1917 quando il ministro degli esteri inglese, lord Arthur Balfour, aprì alla nascita di questo stato ed i quotidiani importanti scrissero che il ministro degli esteri della Gran Bretagna aveva lanciato nell’universo della geopolitica mondiale un razzo che scintilla ancora oggi dopo cento anni. Egli scrisse infatti una lettera a lord Walter Rotschild, capo della comunità ebraica in Inghilterra che annunciava la fine di milleottocento anni di esilio del popolo ebraico ed il suo ritorno alla patria. Una patria mai dimenticata anche nel corso degli anni più spaventevoli e difficili; quelli dei pogrom, delle persecuzioni, delle torture razziali e religiose: mai infatti gli ebrei avevano smesso di pregare rivolti a Gerusalemme. Il ministro Belfour scriveva” il governo di Sua Maestà vede con favore l’istituzione in Palestina di un focolare per il popolo ebraico ed userà i suoi migliori sforzi per facilitare l’ottenimento di questo obbiettivo. Alcuni storiografi fecero però presente il pericolo che il popolo arabo rifiutasse la presenza di una popolazione non mussulmana ed infatti iniziò quella campagna terroristica che dura tuttora sostenendo che sino ad allora non era nato alcun stato palestinese. Ricordo comunque che fino a quel momento tutta la zona era stata dominata dai Turchi e che la decisione di Balfour e del governo inglese era stata supportata per iscritto dagli americani, dai francesi, dalla Italia e dal Vaticano. Non fu quindi una decisione isolata ma il rispetto della storia e del movimento sionistico. In seguito alla dichiarazione di Balfour centinaia di migliaia di ebrei presero la strada dei loro padri e col senno di poi vien da pensare che per essa si salvarono moltissime persone dai successivi forni crematori. Essi trovarono Israele arida e abbandonata ma la dissodarono col loro sudore, difendendola anche col loro sangue. Essi fecero nascere quel miracolo di democrazia e di tecnologia che questo piccolissimo paese rappresenta a tutto oggi. Tuttavia l’inghilterra non fu coerente col suo messaggio iniziale perchè per paura degli arabi gli inglesi dettero ad essi posizioni governative importanti, introducendo bollettini ufficiali e documenti scritti in arabo e non in ebraico che era la lingua che stava rapidamente diffondendosi per la Bibbia e per le preghiere del popolo che man mano la trasformavano nella lingua ufficiale. Ritengo giustificate le parole dell’attuale Primo Ministro inglese Theresa Mary Brasier, coniugata May quando afferma “ Siamo fieri del ruolo che abbiamo giocato nella creazione dello stato d’Israele e certamente celebriamo con orgoglio questo centenario”.
Domenico Bianchi 04 11 2017
L’ importante poetessa americana Sylvia Plath
Cari amici Lions vi voglio parlare oggi della vita di questa poetessa americana che nacque a Boston il 27 10 1932 e morì suicida l’ 11 febbraio 1963 non ancora trentenne. Ella è considerata importante per le molte poesie pure avendo scritto anche un romanzo che si può dire autobiografico e che si chiama “ la campana di vetro” sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas. Infatti la protagonista di questo libro, Esther Greenwood, è una brillante studentessa dello Smith College, che ha una vita non molto dissimile da quella della nostra giovane scrittrice ed inizia a soffrire di psicosi durante un tirocinio presso un giornale di moda newyorkese. La trama ha un parallelo nella vita di Plath, che ha trascorso un periodo presso la rivista femminile Mademoiselle e, subito prima di esso, in preda a un forte stato di depressione, ha tentato il suicidio. Assieme ad Anne Sexton, Plath è stata l'autrice che più ha contribuito allo sviluppo del genere detto della poesia confessionale, che fece fortuna nell’America degli anni 50 trattandola come fosse una confessione della propria vita ed iniziato da Robert Lowell e William De Witt Snodgrass. Fu pure autrice di vari racconti e per lunghi periodi della sua vita ha tenuto un diario, di cui sono state pubblicate post obitum le numerose parti sopravvissute mentre parecchie di esse sono state distrutte dall’ex marito, il poeta inglese Ted Hughes da cui ebbe due figli, Frieda Rebecca e Nicholas. Morì suicida all’età di trent’anni.
Era nata in un distretto di Boston da genitori immigrati tedeschi; la madre, Aurelia Schober, apparteneva ad una famiglia austriaca emigrata nel Massachusetts, abituata in casa a parlare solo tedesco, mentre suo padre, Otto Emil Plath, professore di college, figlio di genitori tedeschi, si era trasferito in America a sedici anni per diventare in seguito uno stimato entomologo, in particolare in materia di api. Sylvia Plath dimostrò un talento precoce, pubblicando la sua prima poesia all'età di otto anni. Nello stesso anno, suo padre morì di embolia in seguito ad un'operazione chirurgica mentre la scrittrice continuò a cercare di pubblicare poesie e racconti su varie riviste americane, raggiungendo un successo marginale. Sylvia Plath soffrì durante tutta la sua vita adulta per una grave forma di depressione ricorrente tra periodi di intensa vitalità. Era entrata nello Smith College con una borsa di studio nel 1950, ma nel penultimo anno fece il primo tentativo di suicidio. In seguito descrisse la crisi che l'aveva colpita nell'estate e inverno 1953 nel romanzo semi-autobiografico, La campana di vetro di cui vi ho sopra accennato. Al tentativo di suicidio seguì il ricovero in un istituto psichiatrico, il McLean Hospital, dove le verrà diagnosticato un disturbo bipolare. Uscita dall'ospedale si laurea, ottenendo la lode nel 1955. Sylvia Plath ottenne anche una borsa di studio per frequentare l'università di Cambridge, dove continuò a scrivere poesie, pubblicando a volte le sue opere sul giornale studentesco Varsity. A Cambridge conobbe il poeta inglese Ted Hughes e profondamente innamorati, si sposarono il 16 giugno 1956. Plath e Hughes trascorsero il periodo dal luglio 1957 all'ottobre 1959 vivendo e lavorando negli Stati Uniti. Sylvia Plath insegnò allo Smith College col marito , poi si trasferirono a Boston dove Plath partecipò a dei seminari con Robert Lowell.
Questo corso di 'creative writing' ebbe profonda influenza sul suo stile. In questo periodo Plath e Hughes incontrarono per la prima volta William Merwin, il quale ammirò i loro lavori e rimase loro amico per tutta la vita. Venuti a conoscenza del fatto che Sylvia Plath era incinta, ritornarono in Gran Bretagna..Sylvia Plath e Ted Hughes vissero per un breve periodo a Londra ed in seguito si stabilirono a North Tawton, piccola città commerciale nel Devon. Sylvia Plath pubblicò la prima raccolta di poesie, The Colossus, in Inghilterra, nel 1960 . Nel febbraio 1961 abortì e diverse poesie fanno riferimento a questo evento. Il loro matrimonio si incrinò per colpa, si dice, del marito e i due si separarono poco dopo la nascita del loro secondo figlio. La loro fu una separazione traumatica di certo dovuta alla relazione che Hughes aveva iniziato con Assia Wevill, moglie di un loro amico poeta. Sylvia Plath ritornò a Londra con i figli, Frieda e Nicholas ed affittò un appartamento in una casa dove aveva abitato William Butler Yeats; ne fu estremamente contenta e lo considerò un buon presagio quando cominciò il procedimento legale per la separazione. L'inverno tra il 1962 e il 1963 fu molto duro. Scrisse intorno a questo periodo il romanzo La campana di vetro, pubblicato nel 1963 di cui vi ho già parlato ed era trascorso solo un mese da quando Sylvia Plath si tolse la vita. Per poter fare questo ultimo atto sigillò porte e finestre ed inserì la testa nel forno a gas, non prima di aver scritto l'ultima poesia intitolata "Orlo" ed aver preparato pane e burro e due tazze di latte da lasciare sul comodino nella camera dei bambini. Secondo Al Alvarez e altri studiosi, in realtà non aveva intenzione di uccidersi, ma soltanto di rivolgere all'esterno un'estrema richiesta d'aiuto, ………lasciato in vista a una ragazza australiana, ed aveva lasciato inoltre un biglietto con scritto il numero di telefono del suo medico, e le parole: "Per favore chiamate il dottor ………….È seppellita nel cimitero di Heptonstall, nel West Yorkshire. Nel 50esimo anniversario dalla morte della scrittrice, sono emersi dei documenti inediti che portano una nuova luce sulla morte di Sylvia Plath ]. Le lettere inedite che la scrittrice aveva indirizzato alla sua psicanalista narrano di aggressioni, abusi e minacce di morte da parte del marito Ted Hughes, al quale era legata da un amore che gli psichiatri chiamano “amore ammalato”. Queste lettere fanno parte di un archivio privato raccolto dalla studiosa americana Harriet Rosenstein che fanno aprire una nuova luce d’interpretazione sulla vita della poetessa anche perché il marito Hughes si occupò dei non pochi beni letterari di Sylvia Plath e distrusse l'ultimo volume del diario della donna, che descriveva il periodo trascorso insieme. Nel 1982, Sylvia Plath divenne la prima poetessa a vincere il Premio Pulitzer per la poesia. Molta critica femminista accusa Hughes di aver tentato di controllare le pubblicazioni ma non vi voglio dire altro.
Domenico Bianchi 30 10 2017
Amici Lions giudicatela voi e non tanto per le poesie che troverete nelle migliori biblioteche ma per la vita di una donna che si è suicidata ancor giovane forse a causa del fallimenti del suo matrimonio
Lo scrittore e linguista Italiano Tullio De Mauro
Tullio De Mauro (Torre Annunziata, 31 marzo 1932 – Roma, 5 gennaio 2017) è stato un linguista italiano che ha assunto l'incarico di Ministro della pubblica istruzione dal 26 aprile 2000 all'11 giugno 2001 nel Governo Amato .
Cari amici Lions già nella mia scorsa stagione da addetto alla cultura generale Vi avevo segnalato l’esistenza nel nostro bel paese di un linguista di eccezione di nome Tulio De Mauro anche perché tra le mie enciclopedie e vi è pure quella curata da Lui e che qualche volta consulto.
Vi farò ora una sintesi della sua vita conclusa a 85 anni. Nell'immediato dopoguerra frequentò il Liceo classico statale Giulio Cesare di Roma Nel 1951 si iscrisse al Partito Liberale Italiano per favorirne la sinistra interna legata alla rivista “ Il Mondo. Ha insegnato Linguistica generale e ha diretto il Dipartimento di Scienze del Linguaggio nella Facoltà di Lettere e Filosofia e successivamente il Dipartimento di Studi Filologici Linguistici e Letterari nella Facoltà di Scienze Umanistiche dell'Università la Sapienza di Roma, facoltà che ha contribuito a fondare, insieme ad Alberto Asor Rosa. Allievo di Antonino Pagliaro, ha insegnato a vario titolo in diverse altre università italiane. Ha tradotto il Corso di linguistica generale di Ferdinand de Saussure che, insieme ad alcuni autori strutturalisti, ha avuto una certa influenza sul suo pensiero. Ha presieduto la Società di Linguistica Italiana e la Società di Filosofia del Linguaggio . Nel novembre 2006 ha contribuito alla fondazione dell'associazione Senso Comune per un progetto di dizionario informatico, di cui era presidente. Era socio ordinario dell'Accademia della Crusca. Dal novembre 2007 ha diretto la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci e presieduto il comitato direttivo del Premio Strega .Era fratello minore di Mauro De Mauro, giornalista de l'Ora di Palermo rapito e ucciso dalla mafia nel settembre 1970, e padre di Giovanni De Mauro, direttore della rivista Internazionale. Da linguista De Mauro ha più volte denunciato, negli ultimi anni della sua vita, il preoccupante fenomeno dell'analfabetismo funzionale che affligge una consistente percentuale della popolazione italiana.
Domenico Bianchi 26 10 2017
Il poeta Pierluigi Cappello,italiano, che scrisse pure in friulano
Cari amici Lions ,vi parlerò oggi del poeta meritevole di lode e purtroppo scomparso giovane, a solo 50 anni Pierluigi Cappello nato a Gemona del Friuli l’8 agosto 1967 e morto a Cassacco, paesino friulano il 1° ottobre 2017. Egli è stato un poeta italiano che , avendo scritto numerose opere in lingua friulana, rientra nell'omonima letteratura. È nato a Gemona del Friuli nel 1967, ma è originario di Chiusaforte, dove ha trascorso la fanciullezza. Dopo aver compiuto gli studi superiori a Udine, ha frequentato la facoltà di Lettere presso l'Università di Trieste. Nel 1999 assieme a Ivan Crico ha ideato, e diretto per diverso tempo, “La barca di Babele”, una collana di poesia edita dal Circolo Culturale di Meduno, che accoglie autori noti dell'area friulana, veneta e triestina. È poi vissuto a Cassacco dove scriveva e dove era impegnato in un'intensa attività artistica e di diffusione della cultura anche nelle scuole e all'università. Varie e significative sono le iniziative culturali sviluppate in Friuli che fanno capo a questo poeta, legate alla poesia, alla saggistica, al teatro. Numerosi i premi nazionali vinti con i suoi libri di versi e citati di seguito. Per lo scritto “ Il me Donzel” ha ricevuto i premi Città di San Vito 1999 e Lanciano-Mario Sansone 1999, quest'ultimo ex aequo con Bianca Dorato. Con Dittico, che comprende poesie inedite in friulano e in italiano, ha vinto il Premio Montale 2004. Nel 2006 ha pubblicato quasi tutte le raccolte delle sue poesie in “Assetto di volo”, a cura di Anna De Simone Crocetti Editore, Milano. Per questo libro ha vinto “il Premio Nazionale Letterario Pisa; il Premio Bagutta 2007 sezione Opera Prima, il Superpremio San Pellegrino 2007, il Premio Speciale della Giuria "Lagoverde 2010". In un nuovo libro di poesie, “Mandate a dire all'imperatore”, ha pubblicato, riunite in volume, anche prose liriche comparse precedentemente su riviste. Con Mandate a dire all'imperatore, Crocetti Editore, si aggiudica il Premio Viareggio-Rèpaci 2010 per la poesia . Il 6 novembre 2012, al palazzo del Quirinale, riceve dalle mani del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il premio Vittorio De Sica 2012 per la poesia. Il 21 giugno 2013 l'Accademia dei Lincei gli conferisce il Premio «Maria Teresa Messori Roncaglia ed Eugenio Mari» per l'opera poetica Gian Mario Villalta. Nel novembre 2013 riceve il premio letterario B.Cavallini per la poesia .Il 27 settembre 2013 l'Università di Udine gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze della formazione. Il 5 dicembre 2013 la città di Udine gli conferisce la cittadinanza onoraria. Il 13 dicembre 2013 riceve la cittadinanza onoraria del comune di Tarcento, dove ha creato e diretto per anni la rassegna intitolata "Lo sguardo della poesia, restare umani.” Nel cuore del Festival Vicino Lontano, il 17 maggio 2014, al Teatro Giovanni da Udine, è avvenuta la consegna del premio letterario internazionale Terzani ex aequo a Pierluigi Cappello e a Mohsin Hamid. il 20 settembre 2014, a Pordenone, ha presentato un suo nuovo libro, scritto per i bambini, Ogni goccia balla il tango (Rizzoli 2014).
Il 24 novembre 2016 a Udine è stato presentato da Gian Mario Villalta un nuovo libro di poesie, da lui chiamato “Stato di quiete “.
Ora, cari amici Lions Vi dirò della Sua vita quanto basta per farVi capire quanto questo bel giovanotto fosse caro a Dio che se lo venne a prendere quando aveva solo 50 anni. I giornali locali scrissero queste righe per ricordarlo ai posteri . E' morto Pierluigi Cappello, il poeta autore di “ Questa libertà”: da centometrista a disabile sulla sedia a rotelle; “Il letto si è trasformato in un tappeto volante, un luogo in cui per un po' ci si sottrae al mormorio del quotidiano e si vedono le cose da lontano e dall'alto. Da lassù gli anni scorrono via dalle nostre vene, si concede una tregua al corpo e il pensiero si libera del superfluo che ingombra la giornata. Dice il poeta : “Ho concepito e scritto diverse poesie adagiato a letto”. Egli viveva da solo perché la sua famiglia che era di povera gente ma carica di dignità era molto orgogliosa di questo suo figlio che aveva studiato e si era laureato e trionfava anche nelle gare di atletica, era sta distrutta dalla frana del Vaiont , Abitava in un prefabbricato di legna d'abete donato dall’Austria dopo il terremoto che fu causa della grande frana di cui vi ho parlato (1976). Lì si era stabilmente trasferito dopo l’incidente stradale che aveva segnato per sempre la sua esistenza, con la recisione del midollo spinale, la condizione d’immobilità, di minorità fisica da cui non era più uscito. Cappello aveva raccontato tutto nel memoir pubblicato tre anni fa, “Questa libertà”, parlando di se stesso, dell’infanzia, del sisma nella sua terra, dell’incidente e del dopo, di se stesso poeta e anche biografo della propria vita. Dice “«Mettere un poeta al banco di prova di una scrittura narrativa è come far correre a un centometrista i diecimila piani». Fu un centometrista non solo come poeta (a sedici anni, nel 1983, prima dell'incidente che l’ha costretto alla sedia a rotelle, li correva in undici secondi), Come poeta i suoi diecimila piani Cappello li aveva percorsi tutti d'un fiato nel memoir, con grande scioltezza e felicità .
Fu un vero poeta e Vi invito a leggere i suoi scritti meditando sulle sue disgrazie.
Domenico Bianchi 20 10 2017
Lo scrittore Italiano Paolo Cognetti
Cari amici lions, dopo parecchi mesi di silenzio il DG ha desiderato che continuassi a scriverVi onde cercare di aumentare la vostra conoscenza di quanto fa parte della cultura, estranea al Lionismo. Ecco, penso che la lettura dei miei scritti possa facilitare il sapere di quanto accade nel mondo d’oggi con particolare riferimento alla cultura generale. Ora io che sono un anziano Lions ho certamente più tempo a disposizione di parecchi di voi che hanno ancora figli piccoli da seguire in questo mondo che va sempre peggio agli effetti della corruzione e di quanto altro accade di sgradevole. Anche la scuola è mutata ed il rapporto coi professori va ben seguito dai genitori onde i figli siano educati in modo serio. Io ora sono preda dei continui piccoli disturbi dell’età che avanza e come “ascritto rosminiano “ringrazio Gesù Cristo per avere ancora un intelletto sufficientemente attivo. Con il consenso dell’amico DG ho concordato col Segretario distrettuale Lorenzo Dalu, che non conoscevo bene, quanto vi dirò. I miei scritti verranno segnalati solo al Governatore per essere approvati e poi, a prescindere da amici di molti anni di lionismo, toccherà all’amico Lorenzo fare un pacchetto di Lions che hanno la voglia ed il tempo per leggere di inviarglieli senza perdere tempo prezioso.
Essendo da pochissimo tempo venuto a conoscenza del vincitore del premio “STREGA “di cui Vi voglio parlare, vi dirò che il suo nome è:
Paolo Cognetti (Milano, 27 gennaio 1978)--uno scrittore italiano. nato a Milano.
Questo giovane scrittore, con il suo libro "Le otto montagne", è il vincitore del premio Strega di quest’anno che, come sapete, è il più ambito tra i premi letterari Italiani, Per la casa editrice Einaudi è la terza vittoria nelle ultime quattro edizioni. Dal 1986 è organizzato e gestito dalla Fondazione Bellonci ed è universalmente riconosciuto come il premio letterario più prestigioso riconosciuto in Europa e nel resto del mondo. Lo, scrittore intervistato, ha raccontato:: “Per me lo scrivere significa decidere cosa togliere o mettere nei miei scritti di potenziale lettura ed essendo un vero amante della montagna desidero manifestare il desiderio di bandire tutte le immagini che non hanno a che fare con l’incanto che essa sa dare. Dice inoltre: “Per me la montagna ha una grande nobiltà di fondo ed è un luogo che nobilita chi fa la fatica di affrontarlo. È una scuola di valori un po’ vecchi ma necessari, come la capacità di far fatica, cioè l’ostinazione e la rabbia verso chi la rovina. La montagna in Italia è costantemente deturpata. Se le vuoi bene, la senti costantemente sotto attacco e vedi i modi in cui l’uomo la imbruttisce e la erode. La rabbia del papà di Pietro per gli sciatori è anche una rabbia per l’asfalto e per le strade asfaltate”. Il nostro scrittore ha incominciato a scrivere verso i diciotto anni. Ha studiato matematica all'università e letteratura americana da autodidatta. Abbandonati gli studi accademici, nel 1999 si è diplomato alla Civica Scuola di Cinema di Milano. Nel decennio successivo si è dedicato alla realizzazione di documentari a carattere sociale, politico e letterario. Come narratore ha esordito nel 2003 con il racconto “Fare ordine”, vincitore del Premio Subway-Letteratura e l'anno successivo all'interno dell'antologia” La qualità dell'aria”, ccurata da Nicola Lagioia e Christian Raimo. Negli anni seguenti ha pubblicato le due raccolte di racconti “ Manuale per ragazze di successo (2004)” oltre al romanzo" Sofia si veste sempre di nero (2012)”, tutti usciti per minimum fax, vincitori di numerosi premi. Dopo una serie di documentari sulla letteratura americana ha pubblicato nel 2010” New York è una finestra senza tende”, seguito nel 2014 da “Tutte le mie preghiere guardano verso ovest”, due guide personali alla città di New York. La vera passione di Cognetti è comunque la montagna, dove trascorre in solitudine alcuni mesi all'anno in una baita come fosse un eremita.. Da questi eremitaggi è nato un suo diario mentre nel 2014 è uscito per minimum fax “A pesca nelle pozze più profonde”, una meditazione sull'arte di scrivere racconti. Nel 2009 ha vinto il premio Lo Straniero, attribuitogli da una rivista per artisti, saggisti, operatori, iniziative culturali e sociali di particolare spessore e generosità, con la seguente motivazione: "Paolo Cognetti, milanese, è tra i giovani scrittori italiani (ha da poco superato i trent'anni) uno dei più attenti a sentire e narrare il disagio delle nuove generazioni e gli anni difficili dell'adolescenza di questi anni, di fronte a un contesto di incerta sostanza e di sicurezza precaria. È anche autore di documentari e inchieste sulla giovane letteratura statunitense, ma sono le sue raccolte di racconti ad aver convinto del suo talento e del suo rigore, e della sua moralità di scrittore vero. L'8 novembre del 2016 è uscito per Einaudi il suo primo romanzo in senso stretto: Le otto montagne, venduto in 30 paesi ancor prima della pubblicazione.,con esso si è aggiudicato il Premio Strega 2017.
Cari amici Lions leggete qualche suo libro. Ne vale la pena. !!
DOMENICO BIANCHI 15 10 2017